lunedì 27 ottobre 2003

Resoconto della Tappa Maniago - Fanna - Cavasso Nuovo Domenica 26 ottobre

Il castello di Maniago

Il castello fu eretto su un ripiano del monte Jof facilmente difendibile dagli attacchi perché isolato dal resto del versante da un ripido vallo artificiale. Nei pressi del vallo c’era il settore del castello che ospitava la torre palazzo e le “caneve” del patriarca di Aquileia. In questo settore si ritrova ancor oggi il mastio del castello.
A Sud è ancora identificabile il secondo recinto del castello, quello attribuito fin dall’origine a un consorzio di guerrieri che avevano il compito di difendere l’area. Erano gli “abitatores” di Maniago, una ristretta classe di feudatari dalla quale emersero, dopo quasi due secoli, i signori di Maniago. Costoro acquistarono le porzioni delle proprietà degli abitatores trasformando quella sorta di borghetto in una zona di esclusivo potere. Ancor oggi questo settore del castello di Maniago è perfettamente riconoscibile ed è segnato dalla presenza delle grandi “domus” e torri di quei signori.
All’esterno, probabilmente dopo il XIII secolo, sorse un borgo di contadini e artigiani che solo successivamente fu definitivamente fortificato. Le case modeste e monocellulari erano poste lungo il ripido versante disponendosi lungo un’ampia piazza in pendenza che finiva nei pressi della chiesa di San Giacomo. Queste case sono ancora ben visibili come tutto l’impianto del borgo degli artigiani, borgo che lentamente fu attratto dalla pieve di San Mauro e dalla costruzione della piazza moderna.
A Maniago, nonostante i pesanti restauri del post terremoto ci sono tutte le premesse per il successo di una aspicabile campagna di scavi archeologici e questo potrebbe rivelarsi uno dei luoghi più importanti per comprendere le strategie dell’incastellamento basso medievale lungo la pedemontana friulana.
  
il Torrat di Fanna
Il “torrat” di Fanna è posto su un ripido colle di argilla. Si trattava di una difesa costruita in epoca medievale con strutture molto povere, un basso recinto in arenaria poco cementata dalla calce e probabilmente una torre che sembra ancora di poter riconoscere nei pressi della scarpata più ripida a occidente.  I documenti storici non citano mai questa fortificazione che per forma e contesto sembra paragonabile a quella rintracciata a Solimbergo nella fase precedente alla costruzione del castello bassomedievale.
Il sito è praticamente inedito e si presenta come un colle boscato e per nulla tutelato. Nel Torrat non sono mai stati eseguiti scavi archeologici, ma la sensazione è che non si trattasse di un castello destinato alla residenza di una famiglia di signori, ma di una difesa costruita dai contadini, una sorta di cortina o ricetto nel quale si rifugiava la popolazione del piano in occasione di un’aggressione.


Il castello di Mieli
Mieli è diviso in ben due siti. Durante l’escursione abbiamo avuto l’occasione di visitare la località Torrat dove doveva trovarsi una torre di avvistamento testimoniata ancora oggi da un solido basamento quadrangolare. Oggi molte delle pietre della torre sembra siano state riutilizzate per la costruzione di muri di drenaggio, ma una indagine di superficie approfondita potrebbe confermare la posizione del manufatto ricordato dalla toponomastica.
Poco a monte della vedetta abbiamo potuto raggiungere quello che resta del “castello di Mieli” come viene chiamato in un documento cinquecentesco. A differenza del Torrat di Fanna questo sito era un bene feudale della signorile famiglia dei di Polcenigo. La sua origine dovrebbe essere precedente all’arrivo dei di Polcenigo e forse era la sede di un più antico signore feudale, oppure faceva capo a un sistema di difesa garantito dall’abbazia di Pomposa che vantava molti diritti su questa zona.
Anche questa volta abbiamo constatato un profondo degrado. Il “bene” non è conosciuto e nemmeno valorizzato. Come per quello precedente dobbiamo rilevare un complice abbandono.
  
Il castello di Mizza
Il "castellare" di Mizza è citato per la prima volta nel 1186, ma non ci stupirebbe scoprire che si tratta di un’antica difesa poi riutilizzata in epoca basso medievale. In effetti le vestigia rilevabili sul campo hanno una tradizione muraria che ci porta a collocarle nel XII secolo, ma il sito è troppo speciale e difficile per non pensare a un riutilizzo. Ci sono molte analogie con il castello di Montereale: la cresta della collina è affilatissima e sul versante settentrionale è pressoché imprendibile. Il castello poteva essere raggiunto solo dal versante meridionale e su quel fronte si distribuivano le principali difese dei di Polcenigo. La famiglia all’interno delle mura, dopo la divisione del 1222, aveva due “domus” signorili, mentre il resto degli edifici non militari dovevano essere alquanto approssimativi.
Anche questo importante castello è del tutto abbandonato e non ha avuto la fortuna di uno scavo archeologico che abbia potuto integrare le informazioni, scarse, provenienti dai documenti d’archivio.

Scendendo dal colle del castello abbiamo svolto anche un sopralluogo teso a cercare il sito dello scomparso castello di Col Birlon, ma non abbiamo avuto fortuna. Il luogo indagato non ci ha permesso di rilevare alcuna vestigia del terzo castello dei signori di Polcenigo nel feudo di Fanna.

domenica 26 ottobre 2003

Tappa Maniago - Fanna - Cavasso Nuovo

Domenica 26 ottobre: Maniago-Cavasso Nuovo
Partenza dal castello di Maniago, ore 8,30.
  
Il castello di Maniago
Il castello sorse in seguito alla cessione del feudo di Maniago che l'imperatore Ottone II fece nei confronti del Patriarca di Aquileia. Il colle controllava i collegamenti tra le valli del Colvera e del Cellina come pure tra le stesse. Fortezza e villaggio occuparono un ampio ripiano del M. Jof e erano affidati ad un consorzio di abitatori dai quali emerse la famiglia detta di Maniago. Dopo il terremoto i resti castellani hanno subito qualche azione di restauro e consolidamento mentre sono, per contro, mancate significative azioni di scavo archeologico nei settori signorili del recinto e in quelli adibiti al villaggio.
  

Il castello di Mieli e il Torrat di Fanna
Si tratta di un castello già in rovina nel '500 e che lo scorso anno, in occasione della precedente edizione di Scarpe & Cervello, siamo riusciti a riscoprire. Si trattava probabilmente di un ricetto popolare posto poco a monte dell'abitato e utilizzato sono nelle occasioni di pericolo e legato a una sottostante torre di osservazione. Quest'anno siamo riusciti a rintracciare nell’area una terza struttura, il "Torrat", che si presenta come una sorta di ricetto costruito su un piccolo colle.

 Il castello di Mizza
Il "castellare" di Mizza è citato per la prima volta nel 1186, ma non è da escludere che si tratti di una difesa antica. La sua localizzazione è particolare: tutto il versante nord del colle è uno strapiombo inattaccabile, mentre quello a sud, il solo raggiungibile con una mulattiera, era ripido e facilmenete controllabile e difendibile. Il castello, infeudato ai signori di Polcenigo, era di piccole dimensioni e presenta tecniche costruttive precedenti al XIII secolo. Oggi versa in uno stato di profondo degrado e abbandono.

 Cavasso nuovo
Concluderemo la nostra passeggiata nei pressi del "Palazat" di Cavasso, la residenza che i di Polcenigo si costruirono in piano abbandonando il vecchio castello di Mizza. Avremo così il modo di compiere alcuni sopralluoghi alla ricerca dei resti di un terzo fortilizio scomparso e un tempo registrato all'interno di quel feudo. Crediamo , infatti, che il castello di Colbirlon definito in rovina nelle cronache del XVI secolo fosse posto poco a monte della residenza seicentesca della famiglia signorile.




domenica 12 ottobre 2003

Tappa Aviano - Montereale Valcellina

La cortina di Giais
Ancor oggi la località che era il capoluogo dell'antico comune di Giais porta il nome di Cortina dichiarando in modo esplicito come quella popolazione avesse deciso di erigere qui una difesa collettiva. Il muro di cinta racchiudeva al suo interno la chiesa (forse non quella attuale) e alcuni settori residenziali.  In parte le murature sono ancora visibili anche se con il tempo sono state reimpiegate per la costruzione di rustici e case.
  
I Castiglioni di Selva
Poco a nord di Selva l'indagine toponomastica ci segnala un nome di luogo significativo: "Castiglioni". Oggi quest'area è in parte edificata e ha subito profonde manomissioni tanto che vedere in questa un castelliere è praticamente impossibile.
  
La cortina di Malnisio
Miotti, sulla base del toponimo "centa" rilevato dal Corgnali ipotizzò che attorno alla chiesa di Malnisio ci fosse stata una cortina. La nostra indagine sui microtoponimi, invece, ha rilevato il toponimo cortina poco più a sud della chiesa nei pressi delle strutture residenziali più antiche del villaggio. La chiesa di Malnisio, senza dubbio tarda, sorse all'esterno del nucleo originario di case quando già la fortificazione era in crisi o persino distrutta.
  
La cortina di Grizzo
A Grizzo, località fino a oggi priva di cortine identificate, abbiamo rintracciato una situazione simile a quella di Malnisio. Ancora una volta la chiesa, di recente istituzione, è discosta dall'area che toponomasticamente viene riconosciuta con il termine cortina. Per contro, quest'ultima abbraccia alcuni settori residenziali del paese e alcuni terreni coltivati.
  
Il monte Spia
Da Grizzo saliremo un colle chiamato Spia per ricordare, alla stregua degli altri luoghi chiamati guarda) che una vedetta sfruttava questa posizione privilegiata rispetto alla pianura. Questo punto di osservazione era probabilmente funzionale al castello medievale di Montereale al quale era fisicamente collegato grazie a un comodo sentiero.
  

Il castello di Montereale Valcellina
Quello di Montereale è un sito fortificato di grande interesse sia per la particolare posizione geografica che ancor oggi entusiasma, sia per la continuità d'uso del sito, occupato con diverse funzioni dall'età preromana all'età moderna. A fronte di una storia plurimillenaria e al grande interesse che suscitarono le campagne di scavo del maniero dei signori di Montereale (anni '80) il luogo continua a rimanere poco frequentato e scarsamente noto.
Noi lo raggiungeremo dal sentiero alto che metteva in comunicazione il castello con la zona montuosa e il M. Spia per poi scendere, dopo la visita ai ruderi, all'antica chiesa pievana, sorta sui luoghi dell'antico abitato di tradizione veneta.
  






lunedì 6 ottobre 2003

Resoconto della seconda tappa.



Le condizioni atmosferiche hanno determinato il rinvio della tappa che ci avrebbe permesso di raggiungere Marsure partendo da Dardago. Questo itinerario sarà recuperato la domenica del 7 dicembre 2003, mentre domenica prossima, come da programma, effetturemo la successiva tappa che ci porterà da Cortina di Giais al castello di Montereale.
Nonostante il tempo inclemente domenica scorsa c’è stato comunque l’incontro tra una nostra delegazione e l’amministrazione comunale di Budoia rappresentata dall’assessore Del Maschio. Con lo stesso abbiamo svolto un veloce sopralluogo del sito del Cjastelat per sollecitare la disponibilità dell’amministrazione comunale al recupero di quel luogo.
Va ricordato come questa località non sia mai stata segnalata in alcuna pubblicazione specialistica e nemmeno nel famoso volume sui castelli friulani del Miotti.
Il sito, per contro, è di estremo interesse perché presenta ancora in perfetta evidenza le diverse forme dell’abitato fortificato con terrapieni e fossati.
La sommità del colle, oggi invasa dalla vegetazione spontanea, garantiva una evidente difficoltà di attacco agli incursori, che si trovavano a dover manovrare su terreni molto ripidi, e allo stesso tempo era uno straordinario “balcone” sulla pianura e sul versante montuoso. Il settore centrale del vecchio abitato, difeso sui versanti NE, SE e SO con un profondo vallo, ha una forma pressoché pianeggiante, frutto di una evidente trasformazione del suolo attribuibile all’uomo. Lungo il perimetro del recinto è ancora ben evidente il rilevato di terra che ospitava la palizzata difensiva e che era stato costruito reimpiegando il materiale proveniente dallo scavo del prospiciente fossato.
Sul lato NE e soprattutto su quello S.O. le difese erano state rinforzate costruendo un secondo vallo e un corrispondente aggere con soprastante palizzata. Questi settori esterni all’abitato trincerato potrebbero essere il frutto di un miglioramento del sistema difensivo, come di un ampliamento dell’area occupata dalle capanne.
Datare la costruzione del manufatto sulla base delle informazioni morfologiche dell’insediamento è impresa ardua e la questione dovrà essere rimandata a una specifica ricognizione archeologica. Per noi è invece importante segnalare l’importanza storica di un sito unico nel panorama del sistema difensivo del pedemonte.

Il Cjastelat, per le tecniche di costruzione e la localizzazione, va senza dubbio inserito all’interno delle fasi più antiche del popolamento di quest’area geografica e proprio per questa specificità la nostra associazione ha chiesto all’amministrazione di Budoia dei segni concreti per la salvaguardia e la valorizzazione del sito.

Resoconto della seconda tappa




Il fossato della fortezza del Cjastelat


Le condizioni atmosferiche hanno determinato il rinvio della tappa che ci avrebbe permesso di raggiungere Marsure partendo da Dardago. Questo itinerario sarà recuperato la domenica del 7 dicembre 2003, mentre domenica prossima, come da programma, effetturemo la successiva tappa che ci porterà da Cortina di Giais al castello di Montereale.
Nonostante il tempo inclemente domenica scorsa c’è stato comunque l’incontro tra una nostra delegazione e l’amministrazione comunale di Budoia rappresentata dall’assessore Del Maschio. Con lo stesso abbiamo svolto un veloce sopralluogo del sito del Cjastelat per sollecitare la disponibilità dell’amministrazione comunale al recupero di quel luogo.
Va ricordato come questa località non sia mai stata segnalata in alcuna pubblicazione specialistica e nemmeno nel famoso volume sui castelli friulani del Miotti.
Il sito, per contro, è di estremo interesse perché presenta ancora in perfetta evidenza le diverse forme dell’abitato fortificato con terrapieni e fossati.
La sommità del colle, oggi invasa dalla vegetazione spontanea, garantiva una evidente difficoltà di attacco agli incursori, che si trovavano a dover manovrare su terreni molto ripidi, e allo stesso tempo era uno straordinario “balcone” sulla pianura e sul versante montuoso. Il settore centrale del vecchio abitato, difeso sui versanti NE, SE e SO con un profondo vallo, ha una forma pressoché pianeggiante, frutto di una evidente trasformazione del suolo attribuibile all’uomo. Lungo il perimetro del recinto è ancora ben evidente il rilevato di terra che ospitava la palizzata difensiva e che era stato costruito reimpiegando il materiale proveniente dallo scavo del prospiciente fossato.
Sul lato NE e soprattutto su quello S.O. le difese erano state rinforzate costruendo un secondo vallo e un corrispondente aggere con soprastante palizzata. Questi settori esterni all’abitato trincerato potrebbero essere il frutto di un miglioramento del sistema difensivo, come di un ampliamento dell’area occupata dalle capanne.
Datare la costruzione del manufatto sulla base delle informazioni morfologiche dell’insediamento è impresa ardua e la questione dovrà essere rimandata a una specifica ricognizione archeologica. Per noi è invece importante segnalare l’importanza storica di un sito unico nel panorama del sistema difensivo del pedemonte.

Il Cjastelat, per le tecniche di costruzione e la localizzazione, va senza dubbio inserito all’interno delle fasi più antiche del popolamento di quest’area geografica e proprio per questa specificità la nostra associazione ha chiesto all’amministrazione di Budoia dei segni concreti per la salvaguardia e la valorizzazione del sito.

domenica 5 ottobre 2003

La seconda tappa

Domenica 5 ottobre: Budoia - Aviano

Partenza dalla piazza della chiesa di Dardago, ore 8,30.
L’escursione prevede la salita al colle del Cjastelat di Dardago. Poi ci dirigeremo verso il castello di Aviano per poi raggiungere le due presunte cortine di Marsure.


Scarpe & Cervello 2003

Castelli  e borghi fortificati da riscoprire


L'iniziativa propone la visita di un importante e dimenticato patrimonio storico e archeologico locale, indicando anche un diverso modo di porsi rispetto all'emergenza monumentale.
Si vuole così dimostrare, infatti, che più che una serie di singoli luoghi archeologici distribuiti lungo la pedemontana pordenonese, si è in presenza di una vera e propria rete di beni storici e culturali.
Le antiche viabilità, l'organizzazione dei tessuti dei centri abitati, le forme e la distribuzione dei coltivi rimandano a un'antica pianificazione medievale ancora ben evidente.
Oggi questa maglia sembra ignorata dalle nuove direttrici di sviluppo e di collegamento anche se questi luoghi non sono affatto lontani e isolati. Anzi, riscoprendoli, lungo un ideale percorso turistico che li connetta tutti, vogliamo restituire a questi luoghi un peso antico. Sono questi i baricentri dell'identità territoriale della pedemontana e il loro recupero diventa fondamentale per riscoprire questo territorio.
Così Legambiente intende riproporre all'attenzione pubblica un problema evidente: la gestione e la valorizzazione del patrimonio ereditato dai nostri avi. Non siamo particolarmente preoccupati dalla stabilità ecologica di quest’area del Friuli quanto da un lento processo di perdita della memoria collettiva, disaffezione o scarsa riconoscibilità dei luoghi. Temiamo che la comunità locale corra maggiori rischi di omologazione se continueranno a venire meno i legami con la tradizione formale dei luoghi: i suoi paesaggi.
L'iniziativa di quest'autunno è tesa proprio a rendere evidente lo stato di degrado dei paesaggi tradizionali e delle loro emergenze castellane. Non a caso tutti gli insediamenti sono abbandonati e solo una minima parte degli stessi è stata scavata e restaurata.
Durante le camminate avremo modo di impostare ricerche e ragionamenti sull'antico stato dei luoghi, ma anche sulle possibilità che si presentano alle comunità locali per dare nuovi significati a castelli abbandonati e rocche distrutte.


La cortina di Dardago
Una nutrita serie di documenti che partono dal XV secolo testimoniano la memoria toponomastica di una cortina nei pressi della chiesa di Dardago. Gli ampliamenti dell'edificio religioso e la costruzione di una viabilità minore hanno profondamente modificato lo stato dei luoghi, tanto che all'inizio del XIX secolo il toponimo "cortina" era già scomparso.



Il Cjastelat di Dardago
La zona delle sorgenti dell'Artugna fu oggetto di insediamento (S. Tomé) fin dalla preistoria. In periodo antico si consolidò la presenza di un luogo fortificato che non siamo in grado di definire che origini abbia perché inedito e mai indagato con gli strumenti dell'archeologia. Certo è che agli albori della storia scritta questo insediamento fortificato di colle già non esisteva più, mentre al suo piede, forse per un fenomeno di "deriva" insediativa, si andava lentamente a costruire il villaggio nucleato di Dardago. Dal centro del paese cercheremo di raggiungere i pochi resti visibili del fortilizio che per secoli giustificò il toponimo dispregiativo e detrattore di Cjastelat datogli dagli abitanti. Questi permettono di leggere ancora molto bene un doppio sistema di vallo e aggere difensivo che proteggeva la cima spianata del colle che ospitava le strutture abitative.

Sull'archeologia del sito si S. Tomè



Il colle della Guarda
Probabile sito di una vedetta d'età antica. Non lo raggiungeremo, ma ci limiteremo a verificarne l'efficienza in relazione al Cjastelat di Dardago.

Il castello di Aviano
Sull'Artugna, nel medioevo, finiva la giurisdizione polcenighese attribuita al Vescovo di Belluno. Per questo motivo il Patriarca di Aquileia fondò in questo settore occidentale della lunga collina di Aviano un castello dotato di un borgo urbano affidandolo a un consorzio di famiglie investite dei diritti e dei doveri dell'abitanza feudale. Il borgo non si trasformò mai in una vera e propria città e lentamente l'abitato assunse l'aspetto di un villaggio rurale.
Le testimonianze del vecchio castello sono ancora molto evidenti nei resti delle mura e delle torri, ma anche negli spazi vuoti un tempo occupati dal villaggio e dai signori feudatari. Interessante è anche il luogo della chiesa di San Giuliana e il borgo che sorse fuori le mura del castello dando vita a una delle più belle piazze del pedemonte.



La cortina di sotto di Marsure
Si tratta di una cortina popolare inedita segnalata dall'indagine sui microtoponimi e oggi completamente scomparsa. I settori abitati di Tezzat e Bares caratterizzati da questo toponimo erano posti su un terrazzo che sovrastava la campagna arida dei pascoli. Il luogo preciso del fortilizio scomparso è di non facile identificazione. Lo cercheremo


La cortina di Sopra (Chiesa di San Lorenzo)
Concordiamo con l'ipotesi avanzata da Tito Miotti che vuole la collina della chiesa di San Lorenzo di Marsure come il luogo occupato da una estesa e importante cortina rurale. Questa crediamo che sia la cortina "di sopra" di Marsure, giustificata sul fronte del toponimo da quella posta al piede dei rilievi e quindi "di sotto". Le mura che cingono parte del colle hanno un aspetto castrense nonostante il complesso religioso che vi si trova sul vertice abbia subito estese trasformazioni.

N.B. Il programma è provvisorio e Legambiente si riserva il diritto di porre qualsiasi modifica allo stesso


ISTRUZIONI PER L'USO

La partenza di ognuna delle escursioni è facilmente raggiungibile attraverso la viabilità ordinaria.
L’obiettivo è quello di conoscere i castelli ed i beni monumentali dell’area, ma di muovere anche l'interesse  delle comunità locali e dell’opinione pubblica per il recupero di questo patrimonio.
Invitiamo alle singole tappe amministratori, popolazione e studiosi con i quali dialogare per promuovere il recupero ambientale del territorio proprio partendo da quegli "oggetti territoriali" che per secoli sono stati il fulcro dell'ambiente pedemontano.
Questa iniziativa ha lo scopo di introdurre chi ci seguirà ad una lettura e ad una frequentazione della pedemontana Pordenonese non solo di tipo escursionistico, ma anche ambientale e culturale. Vi sono segni del territorio e pagine di storia locale che nessuno ha mai pensato di raccontare o leggere. Riteniamo giusto portare un piccolo, ma crediamo, sostanziale contributo alla scoperta di questi aspetti.
Cosa portarsi al seguito
Ogni partecipante dovrà avere uno zaino per l'escursione nel quale vi consigliamo di inserire una mantella impermeabile o K-way, una borraccia per l'acqua, maglione, ed un eventuale cambio di  biancheria. Va tenuto presente che le escursioni avranno luogo in una stagione abbastanza incerta da un punto di vista climatologico.
Nonostante gli itinerari non presentino difficoltà escursionistiche,  gli scarponi da montagna o pedule sono consigliate. Infatti, alcuni tratti dell'itinerario presentano le modeste difficoltà di una normale escursione su sentiero.
Vi consigliamo anche una pila e qualche strumento per tagliare i rovi che molto spesso avvolgono queste fortificazioni abbandonate.

Partenza e ritrovo
Chi vuole partecipare all'iniziativa deve presentarsi al punto di ritrovo scritto nel programma, meglio se essendosi prenotato ai recapiti di seguito indicati. Alla fine dell'escursione riaccompagneremo gli autisti a riprendere le auto lasciate al punto di partenza.
Vettovagliamento
Il pranzo sarà frugale e al sacco. Ogni partecipante penserà a sé, ma se qualcuno porta vino e dolci anche per gli altri sarà particolarmente apprezzato.
Clima
L'inverno nella pedemontana delle Prealpi Carniche è uno dei più piovosi di tutta l'Italia. Se non avremo la possibilità di effettuare tutta o una parte dell'escursione essa sarà ripetuta con comunicazione agli iscritti ed attraverso il sito internet.
L'originale abbassamento dei limiti altimetrici della vegetazione ha prodotto un clima rigido a carattere più montano che pedemontano. A questo si somma il fatto che quando troveremo le rovine delle fortificazioni l'esplorazione delle stesse ci costringerà a stare fermi sul posto con il rischio di un veloce raffreddamento. Insomma, l'abbigliamento a "cipolla" è obbligatorio come un'ampia mantella impermeabile.

Difficoltà
Tutti gli itinerari sono pensati per un'escursionista poco esperto e non particolarmente veloce. Molto spesso saranno usate le strade più antiche della zona, quelle che un tempo erano frequentate da animali e carri. L’obiettivo non è quello di stabilire dei record di velocità, ma quello di “esplorare” insieme la zona attraversata. Rassicuratevi perché non è prevista nessuna difficoltà alpinistica, anzi.
Di norma le escursioni dureranno  6-7 ore in relazione alla poca luce solare. Per sfruttare la stessa al meglio durante le ultime tappe saranno ridotti i tempi della sosta. 

Quota e modalità di partecipazione
La quota di adesione ad una singola escursione è di € 3 per gli adulti. Questa comprende l’assicurazione, i costi organizzativi, le tre guide che provvederanno a traghettare il gruppo da un castello all’altro.


Per informazioni:
Moreno Baccichet: 043476381, oppure 3408645094, liquentia@libero.it
Legambiente del Friuli Venezia Giulia: 0432 295483, info@legambiente.fvg.it,

Informazioni aggiornate saranno inserite nel sito dell’associazione: www.legambiente.fvg.it

venerdì 3 ottobre 2003

Resoconto della prima escursione di Scarpe & Cervello: da Caneva a Polcenigo

Il castello di Caneva
Le condizioni del castello di Caneva sembrano essere abbastanza buone. La frequentazione di questo sito archeologico, oggi quasi completamente in rovina, ha permesso all'amministrazione comunale e alla Pro-Castello di recuperare alcuni significati che il luogo ha sempre avuto per la comunità locale.
L'esito degli scavi condotti tra il 1995 e il 1998 è senza dubbio positivo. I manufatti del settore del mastio sono stati restaurati e consolidati e le strutture di protezione al luogo della "canipa" patriarcale vengono intelligentemente utilizzate anche per le attività ludiche che si svolgono in questo luogo.
Di  recente si è provveduto al restauro di alcuni tratti delle mura posti lungo il grande vallo che isolava il borgo castellano dal resto del Col del Ferro. Per segnalare questa ripresa dei valori identitari del luogo, recentemente, si è dotato il sito di un sistema di illuminazione che rende evidente la rovina anche durante le ore più buie. Questo artificio è senza dubbio pesante, ma non possiamo non notare che anno dopo anno gli spazi usati di questo vecchio maniero patriarcale aumentano a svantaggio dei rovi e della vegetazione, quindi anche questo modo di porre all’attenzione di tutti il sito sembra dare buoni risultati.
L'assessore all'ambiente Fullin, intervenuto per guidarci alla scoperta del castello, ha assicurato che l'attuale amministrazione rilancerà una campagna di scavi estesa anche ai luoghi meno importanti dal punto di vista militare del villaggio fortificato. In questo senso crediamo che sia importante continuare sulla strada già fatta subordinando la costruzione di strutture per la ricreazione allo scavo archeologico e al consolidamento delle emergenze murarie.
Il Castello di Caneva potrebbe diventare, alla stregua di quello di Osoppo, un grande parco archeologico sul periodo medievale, periodicamente usato per le manifestazioni folcloristiche, concerti, convegni, ecc. Insomma, un oggetto territoriale di grande prestigio e attrattiva.


  
Il castellir di Sarone
Questa struttura fortificata, di tradizione protostorica, trovava la sua naturale collocazione su un dosso montuoso, fortemente inciso, soprastante Sarone. Oggi non rimane nessun segno di quella fortificazione perché una cava si è "mangiata" quel pezzo di montagna. Questo episodio mette in risalto una problematicità del rapporto tra beni culturali e archeologici: se non si perviene a una consapevole valorizzazione delle memorie ancora conservate nei luoghi, c'è il rischio che si dissolva il rapporto identitario che lega la comunità locale agli stessi.
Gli abitanti di Sarone non considerano più i primi contrafforti montuosi come una cosa propria e di conseguenza non hanno protestato quando si è messo mano alla distruzione del castelliere che per migliaia di anni aveva dominato il loro villaggio. Questa distruzione è il frutto di un distacco pesante della gente del pedemonte dal proprio territorio.
Oggi recuperare le informazioni che erano presenti in quel luogo è assolutamente impossibile, ma è senza dubbio importante procedere con sondaggi e rilievi all'indagine delle aree limitrofe al distrutto colle.
  
La cortina di Sarone
Sarone in antico non aveva una piazza. Per realizzare qualcosa che potesse sembrare uno spazio aperto pubblico si procedette alla distruzione di quella parte della vecchia cortina medievale che fronteggiava la chiesa ricostruita nell'800 dall'ing. Lorenzetti di Sacile. La necessità di costruire di fronte al sagrato uno spazio sufficiente per far percepire la nuova facciata portò alla distruzione degli ultimi resti della cortina. Infatti, la maggior parte della stessa era stata distrutta per procedere all'ampliamento della chiesa.
Oggi quello spazio è ridotto ad essere un parcheggio e delle antiche murature non è rimasta alcuna traccia

Il colle di San Martino
Il colle di San Martino, alla stregua del castello di Caneva, viene saltuariamente utilizzato per iniziative e feste popolari che si svolgono nell'area che circonda l'omonima chiesetta. Durante la visita abbiamo avuto modo di notare come la stessa si erga su un dosso molto ripido e di modeste dimensioni. Tutto attorno si rintracciano i resti di muraglie e aggeri difficilmente riconducibili ad operazioni di spietramento, o comunque non legati all'attività agricola.
I tratti meglio conservati certificano che queste strutture non erano legate con malta e che hanno, nei secoli, subito diverse modifiche e trasformazioni. L'ipotesi di un sito insediato in epoca antica o protostorica e poi riutilizzato in età medievale ci sembra una ipotesi plausibile, soprattutto alla vista dello speciale rapporto che legava, sia nella gestione feudale, sia nel sistema di avvistamento e segnalazione, questo luogo alle torri del Longon.

La torre del Livenza e quella del Longon
Non ci è stato possibile toccate il suolo nei pressi della presunta torre del Livenza perché oggi il fiume segue un percorso diverso dall'originario e l'antico meandro che proteggeva la specola è stato profondamente modificato. Oggi il sedime della torre è in territorio di Polcenigo, ma la consultazione della cartografia storica rende esplicito il rapporto che intercorreva tra la stessa e la torre del Longone, della quale abbiamo rintracciato la base.
Le due torri erano perfettamente visibili dal Col di San Martino, ma forse facevano parte di un sistema di difesa più esteso, antecedente alla concessione feudale del 1350. L'escursione ha permesso di visitare agevolmente i resti della torre del Longon, posta su una piccolo dosso di fronte alla villa eretta dai Corner nel settecento.
Il manufatto ha base quadrata ed è costruito in blocchi di conglomerato fugati con malta. La particolare forma dei resti fa pensare che la condizione attuale sia il frutto di una demolizione voluta e programmata più che di un crollo. Si può infatti pensare che il Patriarca di Aquileia, alla fine delle lotte contro i caminesi, abbia deciso di distruggere scientificamente ogni opera costruita durante le manovre militari, in modo da non dare la possibilità a signorotti e/o briganti di riutilizzare le fortificazioni.
  
La cortina di Coltura e il "Castelet"
Della cortina di Coltura non è rimasto più nulla. Questa era posta a sud ovest rispetto all'attuale chiesa parrocchiale e probabilmente sfruttava un terrazzo molto inciso. Il fatto che sul luogo non sia rimasto nessun segno di quel fortilizio è forse il frutto di un riutilizzo delle pietre durante le diverse fasi della costruzione o dei restauri della chiesa. Certo è che la traccia del microtoponimo dovrà essere verificata con nuovi sopralluoghi o con ulteriori verifiche documentarie.
Una situazione simile si presenta anche per il sito del Castelet, posto poco a est del Masaret, presso il quale non siamo riusciti a riconoscere alcun luogo caratterizzato dai resti di fortificazioni antiche.

Il castello di Polcenigo
A Polcenigo siamo stati accolti dall'assessore alla Cultura Angela Sanchini che ci ha illustrato gli ultimi sviluppi della questione legata al progetto di recupero del castello. Il maniero, citato già nel 963, è uno dei più antichi del Friuli e potrebbe conservare molte sorprese se solo si promuovesse una estesa campagna di scavi. In questo primo frangente, invece, si sta pensando al recupero e al consolidamento delle murature medievali e moderne che cingono la vetta del colle. Un primo finanziamento sta per garantire l'inizio dell'opera, e allo stesso seguiranno le risorse per altri due lotti funzionali al progetto. L'intenzione dell'amministrazione è quella di recuperare la funzionalità dei luoghi per permettere, alla stregua dell'esperienza canevese, gli usi legati a occasioni particolari di manifestazioni e iniziative culturali a scala locale e provinciale.
In questo senso l'assessore ha anticipato l'intenzione di aderire a un progetto di scala comprensoriale che trasformi questo luogo abbandonato in un polo dell’auspicabile sistema ecomuseale del comprensorio montano del pordenonese.