lunedì 29 aprile 2013

Un luogo d'ispirazione paesaggistica e le sue trasformazioni

Cercando di ritrovare i fondali che avevano ispirato Luigi Nono durante le sue “corse in Patria” a dipingere i paesaggi della pedemontana sacilese, abbiamo rintracciato il luogo dove sono stati dipinti due quadri che mostrano la più occidentale delle sorgenti del Livenza con due controcampi capaci di descrivere tutta la valle compresa tra le colline di San Martino e del Longon e la scarpata cansigliese. Il luogo per Nono era di grande suggestione anche perché vi si applicherà ottenendo più quadri che contrappongono la strada pedemontana e le acque della sorgente come scena nella quale transita molta umanità. Le persone che passavano qual luogo andavano meste verso casa in un succedersi di strabilianti colori e in una atmosfera sospesa e serena. Oggi quella strettoia tra roccia e acqua è attraversata ad alta velocità dalle auto e l’ambiente colorato del tramonto sembra essere dissolto, soprattutto nelle riprese fatte ieri in una giornata di pioggia.

La visione verso oriente
Il mulino della Livenza, circa 1880

2013

Il controcampo verso occidente

Verso sera sulla Livenza , 1880


2013

sabato 13 aprile 2013

Italia, bellezza, futuro

Domenica 14 maggio 2013

ESCURSIONE LUNGO LE ROGGE SANVITESI
Ritrovo ore 9,30 in via Gemona, zona industriale Ponterosso, San Vito al Tagliamento
 

Da questa è la pagina del sito potete scaricare locandina e pieghevole dell’iiniziativa della passeggiata
L’iniziativa è organizzata dal circolo di Legambiente di Pordenone e dal gruppo di lavoro di Scarpe&Cervello e anticipa la campagna del 2013 che inizierà a maggio. Se vuoi sapere qualcosa sul nuovo tema della ricerca del nostro laboratorio sul paesaggio vedi il blog


Percorso
L’escursione inizia a sud della zona industriale di Ponterosso, nel punto in cui dal materasso alluvionale emergono le prime acque di risorgiva. Da qui camminando idealmente lungo le rogge, ma per lo più su stradine e capezzagne, accompagneremo lo sviluppo del corso d’acqua percependo i paesaggi dell’alta pianura sanvitese.  

Tempo di percorrenza: circa 7 ore

Grado di difficoltà: escursionistica adatta a tutti

Motivazioni per la scelta dell’itinerario
La passeggiata che Legambiente  organizza il 14 aprile  2013, lungo le rogge che percorrono il territorio di San Vito al Tagliamento, si inserisce tra le iniziative della Settimana della bellezza indetta dalla nostra associazione, trova però la sua origine in una battaglia che Legambiente-Pordenone conduce dal maggio dello scorso anno in opposizione alle decisioni della giunta  di considerare non rilevanti ai fini paesaggistici lunghi tratti dei corsi d’acqua che attraversano il territorio comunale e si prefigge lo scopo di mostrare alla popolazione i luoghi che l’Amministrazione intende sottrarre alla tutela paesaggistica, anziché promuovere azioni di recupero e di valorizzazione.
La giunta regionale, in ottemperanza al decreto legs. 22 gennaio 2004, ovvero “ Codice dei beni culturali e del paesaggio”, ha ritenuto necessario avviare , con delibera 1490 del 05/08/2011, una rilevazione, estesa a tutto il territorio regionale, dei corsi d’acqua o di parte di essi irrilevanti ai fini paesaggistici. Individuati una serie di criteri per determinare la rilevanza o non rilevanza paesaggistica dei corsi d’acqua, ha chiesto  ai Comuni di compilare le schede di rilevazione per definire gli elenchi dei corsi d’acqua irrilevanti.

Un centinaio sono i comuni del Friuli Venezia Giulia che, con tempi e modalità di interpretazione ed elaborazione dei criteri  diversificate,  hanno risposto alla richiesta della Regione.

Fra essi il Comune di San Vito al Tagliamento, il quale ha affidato l’attività di indagine all’AIS (Associazione Intercomunale Sanvitese) ed ha emanato in data 3 maggio 2012 una delibera di approvazione delle schede compilate sulle rogge Mussa, Versa, Roia e di Gleris, schede che individuano come irrilevanti lunghi tratti di questi corsi d’acqua, in corrispondenza delle aree insediative, manifestando così l’intenzione di sottrarli ai vincoli tuttora imposti dalla legge Galasso.
Legambiente-Circolo di Pordenone, venuta a conoscenza del provvedimento, ne ha immediatamente chiesto la revoca, ritenendo che non fosse condivisibile sia nella procedura sia nel merito delle decisioni assunte. Dopo un incontro preliminare con l’assessore con delega all’ambiente Legambiente ha inviato una serie di osservazioni, sia di carattere generale sia puntuali sui tratti individuati come irrilevanti.
Riportiamo di seguito le osservazioni  di carattere generale
  1. Il paesaggio è una risorsa irrinunciabile. Per l’Italia, in particolare, il paesaggio è uno dei patrimoni più preziosi: infatti  l’art. 10 della Costituzione riconosce tra i principi della Repubblica proprio la tutela del paesaggio e lo fa accostandolo al patrimonio storico e artistico.
  2. La Convenzione europea del paesaggio impone di ragionare in termini di obiettivi di qualità per i diversi paesaggi, di piani che guardino a tutto il territorio, non solo ad aree di pregio, e di identificare politiche  interventi e regole per  valorizzare, conservare, gestire i beni, ma anche riqualificare i paesaggi degradati. Il paesaggio va pertanto considerato nella sua globalità e non nella frammentarietà provocata da inevitabili e talvolta scriteriati interventi antropici.
  3. La deliberazione della Giunta regionale 1490/11 pone l’obbligo ai comuni di fornire nei termini prescritti la compilazione delle schede di rilevamento, non prevede necessariamente l’obbligo di individuare corsi d’acqua o parti di essi  irrilevanti. Inoltre i criteri posti in allegato alla delibera della giunta reg. volti alla determinazione della rilevanza paesaggistica appaiono maggiormente corposi e determinanti e possono sovente coesistere con aspetti che potrebbero essere considerati irrilevanti solo se estraniati dal contesto. L’irrilevanza ne deriva perciò per esclusione, non come aspetto prioritario.
  4. In ogni caso la richiesta della regione è finalizzata alla definizione dei corsi d’acqua irrilevanti ai fini paesaggistici e non alla immediata individuazione delle aree che di conseguenza non sarebbero più sottoposte a vincolo. Un’analisi avveduta delle mappe e le conclusioni delle schede integrative allegate alla delibera evidenzia invece che l’obiettivo dello studio tecnico effettuato era non tanto la determinazione della irrilevanza  ai fini paesaggistici dei corsi d’acqua, quanto l’individuazione di aree da sottrarre ai vincoli della legge Galasso. Appare più un lavoro di riga e squadra che il risultato di  un’approfondita indagine, in cui traspare il proposito di voler sottovalutare anziché valorizzare tutti gli aspetti positivi che a un occhio attento non possono sfuggire
  5. La rete di corsi d’acqua, rogge, fossati, è una caratteristica identitaria  del territorio sanvitese, che va conservata, salvaguardata e valorizzata e laddove vengano individuati pregressi interventi invasivi o distruttivi si dovrebbe provvedere con opere di ripristino e riqualificazione delle acque e del paesaggio, non certo di dismissione. Lungo le sponde, che si vorrebbero  sottrarre al vincolo attualmente in vigore, vi sono angoli di suggestiva bellezza paesaggistica e naturalistica, già apprezzate da pittori e scrittori, che Legambiente ha documentato con una serie di significative fotografie, oltre che  testimonianze storiche  pregevoli (per citarne una, il mulino di Prodolone).  Per questo si chiede all’Amministrazione Comunale di mantenere gli attuali vincoli paesaggistici e di adoperarsi positivamente per tutelare  il territorio sanvitese attraverso opere di conservazione e riconversione.

Le osservazioni espresse da Legambiente nell’incontro con l’Amministrazione Comunale non hanno trovato esito positivo. Accanto alla formale rassicurazione sull’impegno che il comune di San Vito spende e spenderà nella tutela dell’ambiente, una sintesi della risposta ricevuta è che la legge Galasso è inutile e inefficace, pertanto è meglio bypassarla, soprattutto per snellire l’iter burocratico nelle richieste di interventi edilizi , ovvero non ricorrere al parere oggi obbligato della commissione paesaggistica e muoversi con maggior scioltezza liberi da vincoli. Cosa che non  pare di evidente condivisione dal momento che i vincoli imposti non comportano gravi o pesanti limitazioni, se non i necessari controlli di compatibilità ambientali.

Proposte di svincolo indiscriminate come ci appare quella del Comune di San Vito al Tagliamento fanno sì che l’iniziativa proposta dalla Regione di pervenire allo stralcio di alcune aree vincolate paesaggisticamente possa  assumere il carattere di una indifferenziata liberalizzazione in tutto il territorio regionale, costruendo i presupposti per nuove aggressioni a corsi d’acqua che hanno avuto nel tempo non solo un carattere naturalistico, ma anche storico e relazionale per le comunità locali. I comuni, incapaci di gestire positivamente un elemento di valore, cercano di svestirsi dagli oneri burocratici che questo comporta eliminando il vincolo. Una possibilità che doveva servire a riconoscere la scarsa importanza di canali di bonifica o idraulici viene strumentalizzata per cancellare la protezione su strutture idriche organizzate dall’uomo fin dall’epoca medievale.

Secondo Legambiente quindi , in attesa di un piano paesaggistico regionale, che stenta a vedere la luce, la legge Galasso rimane l’unico seppur debole baluardo a tutela delle nostre rogge e di un paesaggio che rischia di essere sempre più violato e depauperato.
Legambiente propone di mantenere il vincolo  che interessa una fascia di 150 metri dalle sponde non per escludere qualsiasi attività nelle aree interessate, ma per dare la possibilità alla Regione di costruire una normativa specifica per le zone protette legata alla vestizione dei vincoli, attraverso l’indicazione di obiettivi, criteri e limiti, processo già in corso e che precederà le fasi di formazione del Piano Paesistico. I LUOGHI
L’escursione si svolge nel comune di San Vito al Tagliamento tra Rosa, Gleris e Savorgnano in un territorio profondamente modellato dal Tagliamento che nella sua lunga storia mutò molte volte il suo corso. Il suolo, costituito da ciottoli calcarei  , ha favorito la formazione di boschetti e di vaste praterie  utilizzate nei secoli come pascoli dalle comunità rivierasche. Tra le ghiaie s’ incuneano terreni argillosi più estesi verso ovest, che hanno permesso alla falda idrica di affiorare in superficie dando luogo a numerose risorgive che originano le rogge.
La passeggiata inizia dalla Roia la cui sorgente è ora intubata. Prima che la zona fosse ricoperta da capannoni industriali ( la Z.I.P.R. nasce alla fine degli anni 60 ) la Roia sorgeva, un po’ più a nord , dal “Gorgo Peloso” al limite dei Comunali, i pascoli di cui godevano le comunità di San Vito, Rosa, Casarsa, San Giovanni. Seguiremo il corso della Roia,percependo già le trasformazioni che si sono sviluppate in quest’area con la scomparsa dei piccoli appoderamenti lungo il corso d’ acqua . Arrivati alla frazione di Rosa, sorta per volontà degli abitanti di Rosa vecchia (allora sulla sinistra del Tagliamento) dopo che questa venne distrutta dall’ ultima rovinosa alluvione del Tagliamento nel 1851, prenderemo a sud una strada interpoderale tra campi aperti. Se da Rosa potessimo proseguire in direzione del Tagliamento (ma non è questa la meta della nostra escursione) potremmo arrivare al luogo in cui almeno fin dal XV sec. funzionava un passo a barca che collegava la riva sinistra del fiume presso Bugnins con quella destra verso San Vito. Il passo a barca traghettava secondo una tariffa uomini animali e merci e veniva effettuato per mezzo di chiatte triangolari a fondo piatto. Il servizio finì tra la fine dell’ 800 e l’ inizio del 900 quando fu reso impraticabile dalla scarsa profondità della corrente, causata a sua volta dalla frammentazione del fiume in una pluralità di rami. Appena entreremo nella nostra strada interpoderale potremo osservare alcuni reperti di una antica chiesa di Rosa recuperati di recente nel  letto del Tagliamento.I campi che ci circondano sono campi aperti che lasciano spaziare lo sguardo: a est oltre la fascia arbustiva che costeggia la roggia Ramon, corre l’argine del Tagliamento costruito nel 1879, a ovest la Roia si  snoda sinuosamente lambendo un boschetto ripariale, ultimo relitto della vegetazione che un tempo sorgeva lungo le sue rive. La roggia, che attraversava una vasta prateria aperta, garantiva l’ acqua per gli armenti al pascolo. Le greggi non appartenevano solo alle popolazioni locali, ma provenivano anche da molto lontano ( Feltre, Bassa Valsugana). La transumanza avveniva nel periodo autunno-inverno lungo percorsi tuttora visibili tra Cragnutto e Rosa e i pastori pagavano un pensionatico ai proprietari dei terreni sfruttati.
Poco prima di arrivare in località Cragnutto abbandoneremo la Roia che proseguirà il suo corso verso il Tagliamento. Cragnutto è un bel complesso architettonico (XVII-XVIII sec.) purtroppo in rovina o rimaneggiato, appartenuto ai conti Keplero. Oggi la campagna mostra i segni di una coltura vitivinicola attuata con mezzi moderni. La produzione di “vini eccellentissimi….veramente vini  eletti da portare alle feconde mense” (Cesarini XVI sec.) è una vocazione antica di questi terreni. Il vino costituiva, prima dell’ allevamento dei bachi da seta, una merce pregiata che poteva essere venduta nel vicino mercato di San Vito, presente fin dal 1341. La strada bianca diritta ci porterà al Cason segnato nelle carte geografiche del XVI sec. E’ sorprendente constatare che il Cason mantiene ancora sostanzialmente la stessa struttura che si può ammirare in una mappa catastale del XVIII sec. Esso era luogo di sosta per uomini merci e animali, che poteva ospitare anche per alcuni giorni quando il Tagliamento era troppo grosso ed il guado, a poca distanza, diventava impraticabile. Secondo alcuni storici il Cason si trovava lungo la strada che da Portogruaro risaliva verso il Norico.

Da Cason, per la strada asfaltata ci porteremo in Braida Bottari. La braida era in genere un’ unità agricola situata vicino alle case e circondata da una recinzione. Coltivata con colture cerealicole e vitigni era considerata un investimento sicuro per le rese offerte. Braida Bottari deriva il nome dal conte veneziano Bottari che aveva scelto questo luogo come residenza di campagna.
Proseguendo in direzione Gleris troveremo la sorgente (purtroppo intubata) dell’ omonima roggia che fa parte del bacino del Lemene. Poco più avanti la roggia si arricchisce con le  acque della roggia Mussolera e scorre vivacemente su un letto di abbondante vegetazione acquatica occupando il lato sinistro di una strada chiusa al traffico. Le sponde della roggia sono state private della vegetazione arborea e ora appaiono per un lungo tratto ricoperte solo da cotico erboso. Ai lati un vasto vigneto e colture tradizionali. Alla fine della strada seguiremo la roggia costeggiandola lungo la capezzagna di un campo per poter osservare la roggia in uno degli angoli più belli dietro la vecchia chiesa di Gleris. Lì la roggia è arricchita oltre che da un’altra piccola roggia anche da numerose risorgive nel suo stesso letto .Le sue acque limpide e il fondo ghiaioso fino agli anni 70 hanno consentito la pesca del gambero di fiume oggi purtroppo scomparso. Nel sec. XIX i gamberi pescati nelle rogge sanvitesi toccavano i 600 kg. Era così normale la loro pesca nella roggia di Gleris che un affresco del sec. XV nella vecchia parrocchiale lì accanto, riproduce un’ Ultima Cena con gamberi considerati nel periodo cibo quaresimale alla mensa dei nobili. Ancora interessante sulla parete esterna della vecchia parrocchiale, eseguito da Pomponio Amalteo un gigantesco S. Cristoforo protettore di coloro che devono attraversare i guadi e invocato contro le alluvioni. La roggia attraversa il centro di Gleris incuneandosi tra le case e dirigendosi poi nella campagna verso Bagnarola.E’ proprio all’ inizio di via Vissignano che potremo osservare la roggia in tutta la sua suggestiva bellezza, ricca di acqua e di vegetazione acquatica con ai lati un boschetto ripariale di alberi ad alto fusto. E’ un relitto di quel bosco che occupava tutta l’ area fin a Savorgnano e oltre e che pian piano è stato sostituito dalle colture sopravvivendo solo in alcune aree molto marginali.
Lasceremo la roggia di Gleris e proseguiremo verso Savorgnano lungo una strada campestre che attraversa campi i cui confini sono segnati ancora da alberature e siepi accanto ad altri in cui è già evidente il segno del riordino. Qui il terreno sabbioso-argilloso è intensamente sfruttato per la sua fertilità da colture cerealicole (mais). Dopo alcuni metri di strada asfaltata incontreremo la roggia Gazziola (e anche questa esce da una tubatura) dalle sponde quasi del tutto ripulite dalla vegetazione e ne seguiremo il corso lungo una strada interpoderale e la capezzagna fino allo sbocco nella Versa. Questa è la roggia che nasce a Casarsa e poi scende verso sud attraversando tutto il comune di San Vito. Esce quindi nel territorio di Bagnarola dove, dopo essersi arricchita con le acque portate dalle roggia  di Gleris, prende il nome di Lemene. Qui assume l’ aspetto del fiume di risorgiva tipico della bassa pianura: abbondanza d’ acqua, portata piuttosto costante, corso sinuoso a meandri. La vegetazione ripariale formata da salici, ontani e platani si è mantenuta lungo la sponda sinistra , ma è quasi scomparsa in quella destra. Costeggeremo la Versa per un tratto e poi tenendoci ai margini di un vigneto ritorneremo verso la Gazziola. Sul sagrato della parrocchiale di Savorgnano si concluderà la nostra escursione.
Con quelli che lo desiderano, in auto ci si recherà alla chiesetta di Santa Petronilla sec. XIV, icona per i sanvitesi del loro paesaggio agreste. Ritratta da pittori, ha affascinato più generazioni di sanvitesi che a Santa Petronilla si recavano più per godere dell’amenità del luogo che per ammirare gli affreschi cinquecenteschi,  pur notevoli e di scuola amalteiana, che decorano il suo interno. Purtroppo, però, la bellezza del luogo ha perso parte della sua intensità dopo che qualche decennio fa le  sponde del Sestian, la roggia presso la quale sorge la chiesa, sono state ripulite da alberi e siepi.

CONCLUSIONE
Lungo il percorso incontreremo luoghi suggestivi, testimoni di una bellezza naturalistica e paesaggistica di indubbio valore, alternati ad aree dove il degrado e l’incuria saranno purtroppo evidenti. L’immaginazione deve aiutarci a riassaporare la bellezza antica  per spronarci  ad impegnarci perché non sia per sempre perduta.  
ORGANIZZAZIONE
L’escursione prevede due tappe, la prima (4 ore circa) a Gleris, la successiva (3 ore circa) a Savorgnano. Ci sarà anche una terza tappa facoltativa a Santa Petronilla (da raggiungere in auto).
Sia a Gleris, sia a Savorgnano gli escursionisti che lo desiderano saranno riaccompagnati alla loro automobile.
Il ritrovo è previsto per le  9.15 : S.VITO al Tagliamento, zona industriale Ponterosso, via Pinzano presso il fitodepuratore. Ampio parcheggio.
Rientro ore 17.00 circa.
COME ARRIVARE
Per chi giunge dalla s.s.Pontebbana : una volta immessi nella s.reg. che porta a S.Vito, attraversare tutta la zona industriale e alla terza rotonda girare a sinistra (casetta azzurra nei pressi). Parcheggiare dopo 300 metri circa.
Ovviamente chi arriva da S.Vito alla prima rotonda della ZIPR gira a destra.
Per informazioni e prenotazioni: 3408645094

giovedì 11 aprile 2013

La Fortezza FVG nella storia



Il tema dell'infrastrutturazione militare di un territorio è un tema che si perde nella notte dei tempi basti pensare ai villaggi preistorici al famoso limes Romano ed agli incastellamenti alto e basso medievale.
Quello che colpisce nella più recente fase storica è l'assoluta auto referenzialità dell'installazione militare, questo suo essere parte del territorio separata dal resto del territorio, assumendo la dimensione sancita dallo stesso termine “servitù” un infrastruttura che può pesare sul territorio in funzione ad un valore che gli viene attribuito maggiore del territorio stesso.
Credo quanto scritto dall'amico Rizzardo che riporto di seguito sia un ottima introduzione di critica storica ad una riflessione complessiva sul tema delle infrastrutture militari in Friuli che ci accingiamo ad affrontare quest'anno.

All'inizio del suo romanzo Austerlitz1, W.G. Sebald ci mostra, in mirabili pagine, l'insensatezza delle fortificazioni militari, intese come cittadelle o vere e proprie città, la cui costruzione è continuata fin quasi alle soglie della prima guerra mondiale, quando ormai le nuove armi ne avevano dimostrato l'assoluta inutilità.

Sebald riporta come esempio la mappa della città fortificata di Saarlouis e cita Coevorden e Neuf-Brisach, ma la nostra Palmanova certamente non sfigurerebbe nell'elenco.2

Alla tecnica della fortificazione si applicarono le menti migliori e non si contano i trattati di ingegneria militare; non abbiamo idea, ci dice Sebald a“quali ipertrofici eccessi sia giunto il linguaggio specialistico circa l'arte della fortificazione e dell'assedio” e termini come escarpe e courtine, faussebraie, reduit o glacis sono ormai incomprensibili. Anche parole italiane come rivellino e dongione ci sono ora del tutto sconosciute. “Sullo scorcio del XVII secolo, fra i diversi sistemi, venne infine delineandosi come pianta privilegiata il dodecagono a forma di stella con controfosso, un modello di tipo ideale, derivato per così dire dalla sezione aurea.”

Abbiamo così un proliferare in tutta Europa di cittadelle fortificate, molto spesso realizzate ex-novo, senza riutilizzare gli spazi e gli edifici della città medievale, ma semplicemente fondando una nuova città, in cui si fondeva il desiderio di realizzare la “città ideale” con quello di costruire un sistema difensivo inespugnabile. A vedere le antiche piante si direbbero fatte in serie, tanto sono simili. E' questa la conseguenza, soprattutto, delle esigenze militari difensive che ne ispiravano la costruzione: non doveva esservi lato indifeso e così i “rivellini” triangolari si disponevano a formare stelle a 12-15 punte.

Sebald osserva che lo sviluppo delle opere di fortificazione era “fondamentalmente segnato da una tendenza paranoide ... la crescente complessità dei progetti, andava altresì aumentando il tempo di attuazione e quindi la probabilità che, a lavoro appena concluso, se non addirittura prima, le fortificazioni risultassero già superate per via dei nuovi sviluppi prodottosi nell'artiglieria e nei programmi strategici, sempre più consapevoli che tutto si decide nel movimento e non nella stasi.”

Nella sua splendida opera “La città nella storia” Lewis Mumford quando descrive la struttura del potere barocco, definisce le fortezze quali “strumenti di coercizione”. I costi di costruzione, considerate la crescente complessità e le dimensioni delle opere, erano altissimi ed imponevano pesanti fardelli economici e corvees alle comunità locali.

“Non meno disastrose del costo economico erano le conseguenze sulla popolazione. Mentre un tempo la città veniva divisa in piazze e isolati e poi circondata da mura, il nuovo centro fortificato veniva progettato anzitutto come fortezza, e la città doveva entrare in questa specie di camicia di forza”.

Il parossistico fenomeno “arrivò all'apogeo con i tipi di fortificazione ideati nel Seicento dal grande ingegnere Sébastien Vauban: un complesso talmente impressionante da esigere l'istituzione di una nuova arma – il Genio – organizzata dallo stesso Vauban, per minarlo e distruggerlo. Ma quest'arte, dopo aver imposto innumerevoli sacrifici, morì quando aveva da poco espresso la sua forma definitiva. L'invenzione del cannocchiale permise di rendere più preciso il fuoco dell'artiglieria, e l'accresciuta mobilità dei rifornimenti attraverso strade e canali, nonché la creazione di una intendenza che ne era responsabile, favorirono la guerra di movimento. Adesso era lo stato territoriale la nuova «città» che bisognava difendere. Gli sprechi imposti da questa perversione militare rimasero senza rivali sino all'insensato proliferare delle bombe e dei missili nucleari della nostra epoca”.4


Giuseppe Rizzardo



1Il titolo non tragga in inganno: non è un libro sulla battaglia napoleonica. Il protagonista prende però il nome dal villaggio boemo dove si svolse il “capolavoro” militare di Napoleone. Austerlitz è pubblicato, anche in economica, da Adelphi.
2Su Palmanova e sulle fortezze italiane, come approccio, si può consultare, nella Storia d'Italia della Einaudi Giulio Schmiedt Città e fortificazioni nei rilievi aerofotografici.3Sebald riecheggia Mumford quando descrive così ciò che prova di fronte ad alcuni enormi edifici “Nel migliore dei casi lo si guarda meravigliati, e questa meraviglia è una forma preliminare di terrore, perché naturalmente qualcosa ci dice che gli edifici sovradimensionati gettano già in anticipo l'ombra della loro distruzione e, sin dall'inizio, sono concepiti in vista della loro futura esistenza di rovine.”4The City in History è uscito nel 1961. Una scheda sull'opera, pubblicata in Italia da Bompiani, si può leggere qui http://digilander.libero.it/filosofiapolitica/wlm1.htm

mercoledì 10 aprile 2013

La cortina di Ferro


La cortina di ferro non era una metafora: lungo il confine orientale, dalla Danimarca sino all'Italia centrale, centinaia di postazioni missilistiche antiaeree si dispiegavano a formare una lunga muraglia difensiva contro un attacco sovietico dal cielo.

Il sistema difensivo si basava principalmente sui missili HAWK (acronimo che sta per Homing All the Way Killer, qualcosa come “assassino che attacca da tutte le parti”) terra-aria lunghi meno di 4 mt e con una gittata di 24-40 km.
Era quindi necessario collocare le batterie a non più di 50-60 km di distanza l'una dall'altra ed in modo che coprissero una fascia di qualche centinaio di chilometri, a protezione delle principali città e delle basi militari, aeree in primis.
Le basi missilistiche degli Hawks avevano una dimensione di almeno nove ettari ed erano costruite in modo seriale secondo questo schema:



Furono costruite centinaia di basi come questa. Alcune di queste sono a pochi passi da casa nostra. In particolare, in Friuli, vi sono tre basi di Hawks: una a Fontanafredda, una a Mereto di Tomba ed una ad Aquileia.
 Google Earth permette agevolmente di “visitare” dall'alto molte di queste basi (dipende, come si sa, dal grado di definizione delle foto satellitari disponibili).
Quella a sotto  è la base di Fontafredda, località Camolli occupa una superficie di circa 9 ettari.




Come (quasi) tutte le altre è in disuso, praticamente abbandonata. I missili sono stati rimossi, negli scorsi anni, a guerra fredda finita da tempo.

Nelle foto qui sotto due basi di Hawks in Germania. Nel primo esempio si può notare che l'area, oltre ad essere demilitarizzata, pare ora essere utilizzata come spazio ricreativo. Le piazzole arginate all'interno delle quali si disponevano i missili, ad esempio, possono scatenare la fantasia dei bambini...
Nell'altra foto sembra proprio che la natura si stia riprendendo lo spazio. Fra meno di vent'anni, anche senza interventi umani, la base sarà pressoché scomparsa.





In alcuni casi, qui sotto siamo a Monaco, le basi sono state completamente smantellate. Se ne intravvedono appena le tracce, riconoscibili dallo schema “classico” di disposizione delle piazzole.




Le basi Hawks costituivano dunque una sorta di immane fortezza protesa a difendere “lo stato territoriale” dell'occidente. Ora possiamo dire, con Sebald, che tutto ciò era concepito in vista della (loro) futura esistenza di rovine.

Un cordone di queste basi, dobbiamo immaginare poste certo “in rete” fra loro, collegava il mar Baltico al Mediterraneo.
Perché dunque non usare questo lascito insensato sfruttandone il carattere reticolare, certo con fini diversi: un lungo percorso europeo della pace e dell'ambiente.

Giuseppe Rizzardo