giovedì 11 aprile 2013

La Fortezza FVG nella storia



Il tema dell'infrastrutturazione militare di un territorio è un tema che si perde nella notte dei tempi basti pensare ai villaggi preistorici al famoso limes Romano ed agli incastellamenti alto e basso medievale.
Quello che colpisce nella più recente fase storica è l'assoluta auto referenzialità dell'installazione militare, questo suo essere parte del territorio separata dal resto del territorio, assumendo la dimensione sancita dallo stesso termine “servitù” un infrastruttura che può pesare sul territorio in funzione ad un valore che gli viene attribuito maggiore del territorio stesso.
Credo quanto scritto dall'amico Rizzardo che riporto di seguito sia un ottima introduzione di critica storica ad una riflessione complessiva sul tema delle infrastrutture militari in Friuli che ci accingiamo ad affrontare quest'anno.

All'inizio del suo romanzo Austerlitz1, W.G. Sebald ci mostra, in mirabili pagine, l'insensatezza delle fortificazioni militari, intese come cittadelle o vere e proprie città, la cui costruzione è continuata fin quasi alle soglie della prima guerra mondiale, quando ormai le nuove armi ne avevano dimostrato l'assoluta inutilità.

Sebald riporta come esempio la mappa della città fortificata di Saarlouis e cita Coevorden e Neuf-Brisach, ma la nostra Palmanova certamente non sfigurerebbe nell'elenco.2

Alla tecnica della fortificazione si applicarono le menti migliori e non si contano i trattati di ingegneria militare; non abbiamo idea, ci dice Sebald a“quali ipertrofici eccessi sia giunto il linguaggio specialistico circa l'arte della fortificazione e dell'assedio” e termini come escarpe e courtine, faussebraie, reduit o glacis sono ormai incomprensibili. Anche parole italiane come rivellino e dongione ci sono ora del tutto sconosciute. “Sullo scorcio del XVII secolo, fra i diversi sistemi, venne infine delineandosi come pianta privilegiata il dodecagono a forma di stella con controfosso, un modello di tipo ideale, derivato per così dire dalla sezione aurea.”

Abbiamo così un proliferare in tutta Europa di cittadelle fortificate, molto spesso realizzate ex-novo, senza riutilizzare gli spazi e gli edifici della città medievale, ma semplicemente fondando una nuova città, in cui si fondeva il desiderio di realizzare la “città ideale” con quello di costruire un sistema difensivo inespugnabile. A vedere le antiche piante si direbbero fatte in serie, tanto sono simili. E' questa la conseguenza, soprattutto, delle esigenze militari difensive che ne ispiravano la costruzione: non doveva esservi lato indifeso e così i “rivellini” triangolari si disponevano a formare stelle a 12-15 punte.

Sebald osserva che lo sviluppo delle opere di fortificazione era “fondamentalmente segnato da una tendenza paranoide ... la crescente complessità dei progetti, andava altresì aumentando il tempo di attuazione e quindi la probabilità che, a lavoro appena concluso, se non addirittura prima, le fortificazioni risultassero già superate per via dei nuovi sviluppi prodottosi nell'artiglieria e nei programmi strategici, sempre più consapevoli che tutto si decide nel movimento e non nella stasi.”

Nella sua splendida opera “La città nella storia” Lewis Mumford quando descrive la struttura del potere barocco, definisce le fortezze quali “strumenti di coercizione”. I costi di costruzione, considerate la crescente complessità e le dimensioni delle opere, erano altissimi ed imponevano pesanti fardelli economici e corvees alle comunità locali.

“Non meno disastrose del costo economico erano le conseguenze sulla popolazione. Mentre un tempo la città veniva divisa in piazze e isolati e poi circondata da mura, il nuovo centro fortificato veniva progettato anzitutto come fortezza, e la città doveva entrare in questa specie di camicia di forza”.

Il parossistico fenomeno “arrivò all'apogeo con i tipi di fortificazione ideati nel Seicento dal grande ingegnere Sébastien Vauban: un complesso talmente impressionante da esigere l'istituzione di una nuova arma – il Genio – organizzata dallo stesso Vauban, per minarlo e distruggerlo. Ma quest'arte, dopo aver imposto innumerevoli sacrifici, morì quando aveva da poco espresso la sua forma definitiva. L'invenzione del cannocchiale permise di rendere più preciso il fuoco dell'artiglieria, e l'accresciuta mobilità dei rifornimenti attraverso strade e canali, nonché la creazione di una intendenza che ne era responsabile, favorirono la guerra di movimento. Adesso era lo stato territoriale la nuova «città» che bisognava difendere. Gli sprechi imposti da questa perversione militare rimasero senza rivali sino all'insensato proliferare delle bombe e dei missili nucleari della nostra epoca”.4


Giuseppe Rizzardo



1Il titolo non tragga in inganno: non è un libro sulla battaglia napoleonica. Il protagonista prende però il nome dal villaggio boemo dove si svolse il “capolavoro” militare di Napoleone. Austerlitz è pubblicato, anche in economica, da Adelphi.
2Su Palmanova e sulle fortezze italiane, come approccio, si può consultare, nella Storia d'Italia della Einaudi Giulio Schmiedt Città e fortificazioni nei rilievi aerofotografici.3Sebald riecheggia Mumford quando descrive così ciò che prova di fronte ad alcuni enormi edifici “Nel migliore dei casi lo si guarda meravigliati, e questa meraviglia è una forma preliminare di terrore, perché naturalmente qualcosa ci dice che gli edifici sovradimensionati gettano già in anticipo l'ombra della loro distruzione e, sin dall'inizio, sono concepiti in vista della loro futura esistenza di rovine.”4The City in History è uscito nel 1961. Una scheda sull'opera, pubblicata in Italia da Bompiani, si può leggere qui http://digilander.libero.it/filosofiapolitica/wlm1.htm

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