Il tema dell'infrastrutturazione
militare di un territorio è un tema che si perde nella notte dei
tempi basti pensare ai villaggi preistorici al famoso limes Romano ed
agli incastellamenti alto e basso medievale.
Quello che colpisce nella più recente
fase storica è l'assoluta auto referenzialità dell'installazione
militare, questo suo essere parte del territorio separata dal resto
del territorio, assumendo la dimensione sancita dallo stesso termine
“servitù” un infrastruttura che può pesare sul territorio in
funzione ad un valore che gli viene attribuito maggiore del
territorio stesso.
Credo quanto scritto dall'amico
Rizzardo che riporto di seguito sia un ottima introduzione di critica storica ad
una riflessione complessiva sul tema delle infrastrutture militari in
Friuli che ci accingiamo ad affrontare quest'anno.
All'inizio
del suo romanzo Austerlitz1,
W.G. Sebald ci mostra, in mirabili pagine, l'insensatezza delle
fortificazioni militari, intese come cittadelle o vere e proprie
città, la cui costruzione è continuata fin quasi alle soglie della
prima guerra mondiale, quando ormai le nuove armi ne avevano
dimostrato l'assoluta inutilità.
Sebald riporta come
esempio la mappa della città fortificata di Saarlouis e cita
Coevorden e Neuf-Brisach, ma la nostra Palmanova certamente non
sfigurerebbe nell'elenco.2
Alla tecnica della
fortificazione si applicarono le menti migliori e non si contano i
trattati di ingegneria militare; non abbiamo idea, ci dice Sebald
a“quali ipertrofici eccessi sia giunto il linguaggio
specialistico circa l'arte della fortificazione e dell'assedio”
e termini come escarpe e
courtine, faussebraie, reduit o
glacis sono ormai
incomprensibili. Anche parole italiane come rivellino e dongione ci
sono ora del tutto sconosciute. “Sullo scorcio del XVII
secolo, fra i diversi sistemi, venne infine delineandosi come pianta
privilegiata il dodecagono a forma di stella con controfosso, un
modello di tipo ideale, derivato per così dire dalla sezione aurea.”
Abbiamo
così un proliferare in tutta Europa di cittadelle fortificate, molto
spesso realizzate ex-novo, senza riutilizzare gli spazi e gli edifici
della città medievale, ma semplicemente fondando una nuova città,
in cui si fondeva il desiderio di realizzare la “città ideale”
con quello di costruire un sistema difensivo inespugnabile. A vedere
le antiche piante si direbbero fatte in serie, tanto sono simili. E'
questa la conseguenza, soprattutto, delle esigenze militari difensive
che ne ispiravano la costruzione: non doveva esservi lato indifeso e
così i “rivellini” triangolari si disponevano a formare
stelle a 12-15 punte.
Sebald osserva che lo sviluppo delle opere di fortificazione era “fondamentalmente segnato da una tendenza paranoide ... la crescente complessità dei progetti, andava altresì aumentando il tempo di attuazione e quindi la probabilità che, a lavoro appena concluso, se non addirittura prima, le fortificazioni risultassero già superate per via dei nuovi sviluppi prodottosi nell'artiglieria e nei programmi strategici, sempre più consapevoli che tutto si decide nel movimento e non nella stasi.”
Sebald osserva che lo sviluppo delle opere di fortificazione era “fondamentalmente segnato da una tendenza paranoide ... la crescente complessità dei progetti, andava altresì aumentando il tempo di attuazione e quindi la probabilità che, a lavoro appena concluso, se non addirittura prima, le fortificazioni risultassero già superate per via dei nuovi sviluppi prodottosi nell'artiglieria e nei programmi strategici, sempre più consapevoli che tutto si decide nel movimento e non nella stasi.”
Nella
sua splendida opera “La città nella storia” Lewis Mumford
quando descrive la struttura del potere barocco, definisce le
fortezze quali “strumenti di coercizione”. I costi di
costruzione, considerate la crescente complessità e le dimensioni
delle opere, erano altissimi ed imponevano pesanti fardelli economici
e corvees alle comunità locali.
“Non
meno disastrose del costo economico erano le conseguenze sulla
popolazione. Mentre un tempo la città veniva divisa in piazze e
isolati e poi circondata da mura, il nuovo centro fortificato veniva
progettato anzitutto come fortezza, e la città doveva entrare in
questa specie di camicia di forza”.
Il
parossistico fenomeno “arrivò all'apogeo con i tipi di
fortificazione ideati nel Seicento dal grande ingegnere Sébastien
Vauban: un complesso talmente impressionante da esigere l'istituzione
di una nuova arma – il Genio – organizzata dallo stesso Vauban,
per minarlo e distruggerlo.
Ma quest'arte, dopo aver imposto innumerevoli sacrifici, morì quando
aveva da poco espresso la sua forma definitiva. L'invenzione del
cannocchiale permise di rendere più preciso il fuoco
dell'artiglieria, e l'accresciuta mobilità dei rifornimenti
attraverso strade e canali, nonché la creazione di una intendenza
che ne era responsabile, favorirono la guerra di movimento. Adesso
era lo stato territoriale la nuova «città»
che bisognava difendere. Gli sprechi imposti da questa
perversione militare rimasero senza rivali sino all'insensato
proliferare delle bombe e dei missili nucleari della nostra epoca”.4
Giuseppe Rizzardo
2Su Palmanova e sulle fortezze italiane, come approccio, si può consultare, nella Storia d'Italia della Einaudi Giulio Schmiedt Città e fortificazioni nei rilievi aerofotografici.3Sebald riecheggia Mumford quando descrive così ciò che prova di fronte ad alcuni enormi edifici “Nel migliore dei casi lo si guarda meravigliati, e questa meraviglia è una forma preliminare di terrore, perché naturalmente qualcosa ci dice che gli edifici sovradimensionati gettano già in anticipo l'ombra della loro distruzione e, sin dall'inizio, sono concepiti in vista della loro futura esistenza di rovine.”4The City in History è uscito nel 1961. Una scheda sull'opera, pubblicata in Italia da Bompiani, si può leggere qui http://digilander.libero.it/filosofiapolitica/wlm1.htm
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