giovedì 26 aprile 2012

Punti di vista triestini


Durante l’escursione del 29 aprile avremo modo di raggiungere due luoghi importanti, a partire dalla metà dell’800, per l’iconografia triestina: il castello di Miramare e il belvedere dell’obelisco. Il castello, forte di un immediato successo dell’immagine che diffondeva la visione della residenza degli Asburgo, veniva presentato con riprese stereotipate da terra: la prospettiva del palazzo che si staglia sul mare visto dal porticciolo, con qualche timido tentativo di fotografare l’edificio dal molo. Oppure dalla riva settentrionale, lungo la strada che proveniva dalle scuderie, dividendo in tre la foto, a sinistra il mare, al centro la residenza e a destra l’ombreggiato parco. Le foto-cartolina dal mare sono così rare da rendere evidente l’intenzione di usare l’edificio come “cerniera” ricca di significati tra il versante-parco e il mare.
Un discorso diverso lo merita il luogo dell’obelisco, lungo la strada ottocentesca che collegava Opicina a Trieste, costruito come un grandioso belvedere sulla città. In questo caso una serie meno folta di fotografie commerciali documenta l’esperienza della percezione visiva che dall’alto lascia alla città costruita il compito di far dialogare le rive dell’altipiano con il mare. La ripresa è unica ed efficace al punto che pochissime altri panorami dall’alto entrarono nell’iconografia urbana triestina con tanta forza.
Il ruolo di queste riprese nella costruzione di un mito turistico e identitario di Trieste è una ricerca tutta da fare, certo è che anche solo svolgendo una piccola indagine in rete sulle cartoline triestine emergono moltissime immagini (alcune le pubblico qui sotto) che testimoniano l’uso ripetuto degli stessi punti di ripresa.






























Miramare, i pastini di Contovello e le vedute di Trieste dall’alto


Scarpe & Cervello 2012
Icone, iconemi e fondali paesaggistici

Domenica 29 aprile

Ritrovo ore 9,30 nell’atrio della stazione ferroviaria di Trieste



Veduta di Contovello e Miramare dalla strada Napoleonica agli inizi del ‘900


Nel tempo la tradizione fotografica ha consolidato uno speciale modo di interpretare lo scenario del ripido versante del flysch che si appoggia al Carso calcareo e avremo modo di discutere dell’iconografia fotografica di Miramare e del suo parco. L’escursione partirà dal castello residenza di Massimiliano d’Asburgo e ci condurrà fino in cima all’altipiano, tra i pastini di Contovello, in un iconema, quello dei terrazzi, che caratterizzava tutta la scarpata fino al mare. 

Percorso
L’escursione inizia dal Castello di Miramare per salire il parco fino ad incontrare il paesaggio tradizionale dei terrazzamenti costruiti sul versante argilloso. Salendo verso il bordo dell’altipiano noteremo la transizione tra i paesaggi coltivati del Flysch e quelli carsici del calcare. Visiteremo Contovello e il suo speciale assetto insediativo per poi recuperare la Strada Napoleonica e giungere all’obelisco che sovrasta il panorama di Trieste.
Tempo di percorrenza: 7 ore
Grado di difficoltà: escursionistica su una storica mulattiera fino a Contovello, dopo di che si percorrerà una strada ottocentesca quasi pianeggiante. Dislivello in salita: 325m

Motivazioni per la scelta dell’itinerario                             
Il paesaggio della costiera un tempo era caratterizzato da ampie zone coltivate e terrazzate che costituivano il paesaggio dei pastini:  terrazzi attrezzati a vigna, olivo e ortaggi che garantivano il cibo alla città di Trieste. Si trattava di un territorio produttivo fortemente strutturato da comunità che vivevano di pesca, agricoltura e pastorizia utilizzando tre diversi territori e ambienti. Le possibilità introdotte dal nuovo regime della mobilità hanno spezzato il legame che univa queste aree agricole alla città portando al collasso di un’economia di prossimità. Gran parte del versante è diventato selvatico, ma alcuni brani di quell’antico paesaggio continuano a sopravvivere.
L’escursione parte e arriva in due punti molto importanti per la storia del paesaggio della Venezia Giulia. La veduta del castello di Miramare tra ‘800 e ‘900 diventerà un’icona fotografica consolidata anche nei punti di ripresa. La diffusione delle immagini nella società contribuirà a consolidare la visione della costiera e della residenza principesca come un tutt’uno facendo scomparire la memoria dei pastini che occupavano in precedenza il territorio del parco. La così detta Strada Napoleonica ruppe un ideale isolamento della città nei confronti dell’entroterra, ma oggi è senza dubbio uno degli itinerari escursionistici più particolari e frequentati della regione per lo straordinario panorama che si percepisce da questo tracciato che arriva nei pressi dell’obelisco. Anche questo è un luogo che negli ultimi duecento anni ha assunto il significato di un belvedere sulle continue trasformazioni della città. Una infinita serie di foto scattate da questo punto di vista sarebbero in grado di documentare con straordinaria efficacia l’evoluzione della dispersione urbana di Trieste.

Descrizione del percorso           
Questa volta il nostro percorso è circolare e prevede la partenza dalla stazione di Trieste. Qui prenderemo l’autobus che ci condurrà a Miramare. L’iconografia del castello di Miramare è vastissima ed ha consolidato alcuni punti di ripresa. Le immagini ottocentesche che mostrano l’edificio dal mare sono minoritarie rispetto a quelle riprese dal porticciolo, o dalla strada che collega la residenza a Barcola. La cartografia ottocentesca ci permetterà di immaginare l’ambiente litoraneo precedentemente alle grandi trasformazioni che coinvolsero questo luogo con le opere volute dagli Asburgo e il passaggio della moderna ferrovia, e successivamente, dalla strada costiera. Il paesaggio era originariamente caratterizzato soprattutto da coltivazioni intensive, per lo più terrazzate e costruiva un ambiente unico dopo le secche rive della scarpata di Duino e di Aurisina.  Qui le morfologie finiscono per addolcirsi e i campi coltivati per piccoli appezzamenti, che scendevano dai borghi di Contovello, raggiungevano quasi il mare. Si trattava di un ambiente produttivo, intensamente frequentato da agricoltori e pescatori e il suo speciale carattere fu assunto da Massimiliano d’Asburgo nell’idea di costruire una residenza extraurbana dotata di un parco mediterraneo e particolare nella sua composizione.
Le opere che iniziarono nel 1856 distrussero un paesaggio costruito e modellato per secoli dalle comunità locali separando questo settore della costa dai villaggi del bordo dell’altipiano. Il mare non veniva più ad avere un significato legato al sostentamento delle popolazioni rivierasche, ma veniva colto per il nuovo e romantico carattere paesaggistico che la società della prima industrializzazione attribuiva a questi spazi. Il palazzo-castello era un’anti-città che proponeva un sistema di vita diverso da quello delle grandi residenze asburgiche di corte. Una dimora intima e giocata, una volta tanto, sulle articolate asimmetrie che il naturalismo stava introducendo come elemento di valore. I riferimenti alle rocche mediterranee, veri e propri osservatori, non credo fosse casuale. La residenza spaziava sui paesaggi aperti del litorale e alle spalle su un complesso sistema di verde attrezzato per lo svago del proprietario e di un  irregolare, ma domato, versante ripido e roccioso. Il parco giustamente all’inglese, era stato disegnato sulle morfologie dolci che avevano per secoli ospitato le vigne e divenne subito uno dei più straordinari ambienti artificiali dell’alto Adriatico tanto da contribuire in modo determinante nel creare un richiamo turistico a volte più forte di quello della vicina città.
Percorreremo parte del parco cogliendo il punto di confine tra il paesaggio costruito dai professionisti mobilitati dagli Asburgo e quello del paesaggio antico e percorreremo il principale sentiero che permetteva alle comunità dell’altipiano di raggiungere il mare e quindi di accedere a quelle risorse.
L’itinerario che ci porterà a Contovello si muove all’interno di quello che resta di un ampio paesaggio scosceso intensamente coltivato. I pastini della costiera, così si chiamano i terrazzamenti, sono una immagine costante e ripetuta dei versanti marnosi e argillosi, ma la crisi di questo tipo di difficile agricoltura ha provocato la crisi di quest’ambiente, diffusi abbandoni e il progressivo sviluppo della vegetazione spontanea. Saliremo lentamente tra i pastini osservando le vedute sull’Istria slovena e sul golfo per giungere a Contovello, un villaggio che nella sua forma planimetrica assomiglia di più agli insediamenti del litorale che ai villaggi irregolari e a mucchio, quasi pluricellulari, del Carso. Posto sul vertice di un dosso è organizzato attorno a una strada quasi rettilinea che sbocca sul piazzale della chiesa da dove si domina tutto il territorio della città di Trieste. Da Contovello ci muoveremo per Prosecco per entrare all’interno del Carso in un settore in cui l’ambiente sta soffrendo due diversi processi di rapida trasformazione. Da un lato le nuove e moderne infrastrutture locali e la costruzione di aree produttive e di servizi stanno costruendo l’immagine di un insediamento disperso, dall’altra l’abbandono dell’agricoltura sta costruendo un ambiente selvatico. Lungo piccole stradine raggiungeremo anche il belvedere del santuario di Monte Grisa (il “formaggino” per la speciale forma pensata dall’architetto Antonio Guacci in stile brutalista). L’edificio era nato dall’intenzione di costruire una sorta di Landmark religioso e non si può dire che il successo non sia stato ottenuto. L’oggetto architettonico ha un valore paesaggistico per tutto l’ambiente del golfo di Trieste.
Visitato l’edificio raggiungeremo la strada detta Napoleonica o Vicentina che è diventata ormai uno dei percorsi escursionistici più belli e panoramici della zona, un itinerario frequentatissimo, a differenza dei trascurati sentieri tra i pastini. Percorrendola raggiungeremo l’ottocentesco obelisco (1830) che segnava, lungo la strada che da Opicina portava alla grande città portuale, un punto speciale di veduta, un belvedere che divenne famoso per le rappresentazioni pittoriche della città, ma anche per le moderne rappresentazioni fotografiche. Per più di un secolo la città è stata riprodotta in centinaia e centinaia di fotografie riprese da questo punto di vista, al punto di creare una interessante serie di riproduzioni, mai raccolta, che potrebbe dar conto di tutte le fasi della dispersione urbana
Nei pressi dell’obelisco prenderemo il vecchio tram a cremagliera che ancora una volta ci farà apprezzare la pendenza della ripida scarpata portandoci velocemente in città. Da piazzale Oberdan tutti potranno riprendere il loro mezzo e rientrare.
   

Bibliografia utile
Rossella Fabiani, Museo Storico del Castello di Miramare, Milano, Electa, 2006
  

Per partecipare
La passeggiata si svilupperà su un versante poco ripido ed esposto al sole e al vento. Sono sufficienti scarpe da ginnastica o da trek e un abbigliamento “a cipolla”.
Il ritrovo è previsto di fronte nell’androne della stazione ferroviaria di Trieste. Nei pressi ci sono molti parcheggi a disposizione. Tutti i partecipanti dovranno procurarsi un biglietto per l’autobus per Miramare e uno per il tram di Opicina. Chi dovesse arrivare in ritardo ci può aspettare di fronte alle scuderie di Miramare. Se riusciremo a rispettare i tempi dovremmo riuscire a pranzare nei pressi di una osteria che potrà integrare l’obbligatorio pranzo al sacco e le riserve di acqua.
L’escursione prevede una camminata lenta di circa sette ore priva di difficoltà.  Chi viene con i figli è pregato di prestare a loro le dovute attenzioni.
Vi raccomandiamo un abbigliamento conforme alla stagione variabile soprattutto in considerazione delle previsioni del tempo.
Per i problemi finanziari dell’associazione le escursioni di Scarpe & Cervello non saranno più gratuite, ma sottoposte a una quota di rimborso spese per compensare i costi organizzativi. I non iscritti pagheranno 5 euro mentre gli iscritti 3. Per i bambini rimane tutto gratuito.

Numero massimo di adesioni: cinquanta con obbligo di prenotazione.
Per informazioni e prenotazioni:
Moreno Baccichet: 043476381, oppure 3408645094, bccmrn@unife.it
Legambiente del Friuli Venezia Giulia: 0432 295483, info@legambientefvg.it, in orario d’ufficio
Informazioni aggiornate saranno inserite nel sito dell’associazione: www.legambientefvg.it e www.scarpecervello.blogspot.it

martedì 24 aprile 2012

Aspettando un piano per il paesaggio del Friuli Venezia Giulia

doppio appuntamento a Udine
venerdì 27 aprile - venerdì 4 maggio 2012
Sala Tomadini, via Tomadini a Udine (ore 14.30 - 19.00)

in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Umane dell'Università di Udine e con il contributo della Regione FVG

Il convegno organizzato da Legambiente FVG è diviso in due diverse sessioni di lavoro.
La prima vuole fare il punto su diverse e contemporanee esperienze delle amministrazioni pubbliche (Toscana e Puglia) che approcciano al tema della pianificazione paesaggistica con le finalità prescrittive e di tutela tipiche della gestione dei piani italiani. Simile, seppure diverso per la scala, è l’atteggiamento con il quale la pianificazione slovena ha ricondotto la questione del paesaggio al piano comunale, mentre le Charte Paysagére francesi hanno spostato l’attenzione dal tema dei “vincoli” e/o tutele a quello della gestione.
La seconda sessione, invece, vuole indagare alcuni casi recenti di iniziative che, provenendo dalla società, propongono nuovi modi, non incardinati nella pianificazione tradizionale, di gestione del territorio. Osservatori del paesaggio, carte dei luoghi o dei valori, “custodi del territorio”, azioni delle comunità locali non compensano però l’esigenza di un piano regionale, ma dimostrano un interesse per il paesaggio da parte della società che dovrebbe essere di stimolo per un’azione della Regione attenta e condivisa.

Per scaricare tutti i dettagli vai a questo link:
 http://cms.legambientefvg.it/governo-del-territorio/261-aspettando-un-piano-per-il-paesaggio-del-fvg-ciclo-convegni

sabato 14 aprile 2012

Icone, iconemi e fondali paesaggistici Inizia la nuova stagione di Scarpe&Cervello 2012


Scarpe & Cervello 2012

Icone, iconemi e fondali paesaggistici





Domenica 22 aprile
La visione della montagna vista dalla pianura del Tagliamento
Ritrovo ore 9,00 in piazza a San Vito al Tagliamento

Percorso
L’escursione inizierà a San Vito al Tagliamento, nei pressi della chiesa dei Battuti, e si snoderà lungo l’alta pianura fino a Valvasone.
Tempo di percorrenza: 7 ore
Grado di difficoltà: nessuno, attrezzatura da trek, stagione consigliata primavera o autunno, si percorrono molte strade campestri e si attraversano alcuni centri urbani
Motivazioni per la scelta dell’itinerario
La grande pianura alluvionale friulana ha sempre dialogato in termini paesaggistici con la corona delle montagne che la chiude, in modo tanto secco, a monte. Soprattutto in provincia di Pordenone la montagna precipita con pendii molto ripidi da cime che superano i 2.000 metri e che hanno un carattere dolomitico, come il M. Cavallo e il M. Raut. Il “muro” di montagne ha sempre influenzato la percezione dello spazio nelle comunità di pianura e non è un caso che questo profilo compaia in tanti dipinti prodotti soprattutto nel XVI secolo. Per esempio, questa attenzione alla corona delle montagne viste da una lontana pianura è molto evidente nella pittura del sanvitese Pomponio Amalteo, ma anche in alcune opere del suocero, il Pordenone. La questione diventa ancora più intrigante se consideriamo alcuni artisti moderni come i sanvitesi Virgilio Tramontin e Federico De Rocco, che hanno spesso rappresentato i lontani rilievi visibili dalla loro terra. A differenza del ruolo realistico che il paesaggio ha nell’opera pittorica di Cima da Conegliano nella pittura dei sanvitesi i monti restano quasi indefiniti, come avvolti nella foschia che molto spesso scioglie e diaframma il confine con la pianura. Per l’Amalteo e il Pordenone la ricostruzione del paesaggio non è esatta, è in realtà un fondale solo abbozzato, esattamente come durante certe giornate fosche e umide, nel quale ambientare l’arrivo di improbabili Magi, o altre scene mitiche.
L’ambiente alpino percepito attraverso il filtro della distanza non viene rappresentato con un atteggiamento razionalista, e ciò che appare è un ambiente lontano nel quale le forme sfumano e si deformano dando vita a un paesaggio fantastico. Il profilo della montagna è un fondale teatrale sul quale l’uomo dipinto da De Rocco nella Casa del Mutilato di San Vito si staglia, assumendo il carattere del protagonista.
Descrizione del percorso
Il percorso parte dal centro di San Vito al Tagliamento, e precisamente dagli affreschi del presbiterio della Chiesa dei Battuti dipinta da Pomponio Amalteo. In questi dipinti l’attenzione dell’artista per il paesaggio è evidente. Il bambino nasce non in una grotta ma sotto un ricovero in legno, come quelli che nel Cinquecento popolavano i villaggi della pianura. Per contro, le montagne lontanissime definiscono un limite oltre il quale stanno terre sconosciute; ed è proprio da lì che arrivano i Magi sugli esotici cammelli. Il fondale della catena dei monti segna una soglia tra il conosciuto e l’esotico. A parte i Magi nel dipinto si rintracciano tutti gli oggetti d’uso dell’abitare tipici della pianura pordenonese nel ‘500.
In questa chiesetta ci soffermeremo anche a guardare alcune stampe del Tramontin che descrivono con puntuale precisione il paesaggio novecentesco della campagna sanvitese. Le vigne, in modo particolare, assumono un carattere scultoreo che viene esaltato, nella rigidità delle forme, dal contrasto con le naturali forme delle lontane Prealpi Carniche. Uscendo dalla chiesa raggiungeremo la vicina Casa del Mutilato dove vedremo un’importante opera parietale di De Rocco. Dalla piazza di San Vito raggiungeremo l’abitato di Prodolone, ancora segnato nel suo impianto urbanistico dalle rovine del castello feudale e dalla chiesa parrocchiale.
Raggiungeremo quindi la chiesetta della Beata Vergine delle Grazie, situata poco lontano, dove Pomponio Amalteo mise mano a un’altra grande composizione su parete. Ancora una volta l’immagine dell’arrivo dei Magi alla umile capanna del bimbo è delimitata dallo sfondo delle Prealpi Carniche, mentre nel ciclo della nascita e della giovinezza di Maria l’incontro con l’angelo avviene in campo aperto, poco fuori le mura di una città che potrebbe richiamare San Vito. Sullo sfondo, a destra, si intravvedono dolci rilievi e una montagna aguzza e rocciosa.
Da qui inizieremo una lunga camminata che ci permetterà di percepire le trasformazioni di lungo periodo che si sono sviluppate nella pianura a cavallo delle risorgive. Per cominciare si noterà la scomparsa delle praterie aride, un tempo usate per il pascolo o la fienagione, e il progressivo sviluppo delle moderne forme della coltura vitivinicola che testimoniano il successo imprenditoriale dei vini della Delizia. In questo settore della pianura asciutta, ma percorsa dai primi rivoli di risorgiva, la tessitura degli appoderamenti è fitta. I segni delle pratiche tradizionali sono alquanto ridotti, mentre prevale il paesaggio gestito con mezzi meccanici e governato da processi esogeni all’antico villaggio.
Il contesto ambientale si complica in occasione dell’arrivo a Casarsa perché la campagna inizia a mostrare oggetti speciali, come le caserme, e infrastrutture moderne come la ferrovia. Raggiungeremo, nella periferia del paese, la chiesa di Santa Croce dove visteremo il terzo ciclo pittorico di Pomponio Amalteo, che affiancò il suocero Pordenone nell’opera cogliendone ancora una volta il senso delle ambientazioni. A differenza dei due precedenti cicli l’ambientazione qui si complica. Una scena si svolge in ambiente pedemontano e a questa si somma una bellissima visione urbana di ispirazione pordenonese.
Oggi Casarsa è un paese espanso e dilatato lungo la direttrice ottocentesca della Pontebbana. Attraverseremo questo “disordine urbano” cogliendo tutti i motivi dello schizofrenico ambiente contemporaneo. Superate le ultime urbanizzazioni ci inoltreremo quindi nella campagna dell’alta pianura, un tempo caratterizzata da prati magredili e oggi invece interessata da agricoltura intensiva a seminativi o vigne attrezzate recentemente per la raccolta meccanica.
Raggiungeremo lentamente Valvasone da Sud, quindi da una speciale prospettiva che ancora oggi segna un brusco stacco tra i territori aperti e la densa città medievale. Un margine urbano, una volta tanto, non segnato dalla dispersione insediativa. Percorreremo le vie della cittadina diretti al quattrocentesco duomo che conserva uno dei più straordinari organi cinquecenteschi d’Italia. Lo strumento, di per sé di grande valore, presenta un particolare interesse per il nostro itinerario soprattutto perché esso è decorato con alcuni interessanti dipinti del Pordenone e dell’Amalteo. In modo particolare alcuni pannelli della balconata dipinti da Pomponio mostrano ancora una volta ampie prospettive della pianura verso i monti. Anche nella composizione realizzata dal suocero per l’episodio della caduta della manna dal cielo la decisione di collocare la scena sul fondale di una distesa pianura che finisce contro un versante montuoso sembra di riconoscere il tema pittorico che ci guiderà per tutta l’escursione, che intende risalire una campagna in costante fase di ridisegno e modernizzazione. L’ambiente cambia mentre le comunità locali continuano a percepire il loro territorio nei limiti di questi ampi confini prospettici segnati dalle Prealpi Carniche.
Traccia del percorso su mappa

Bibliografia utile
Giovanni Ellerani, Pomponio Amalteo e gli affreschi di S: Maria delle Grazie di Prodolone in San Vito al Tagliamento, San Vito al Tagliamento, Ellerani, 1970
Pomponio Amalteo: pictor Sancti Viti, 1505-1588, a cura di Caterina Furlan e Paolo Casadio, Milano, Skira, 2006
Caterina Furlan, Il Pordenone, Milano, Electa, 1988
Per partecipare
La passeggiata si svilupperà in pianura, quindi è sufficiente avere delle scarpe da ginnastica. Allo stesso tempo vi preghiamo di considerare che con il terreno bagnato le stradine di campagna che percorreremo saranno ricche di fango.
Il ritrovo è previsto in piazza a San Vito al Tagliamento, mentre l’area limitrofa al centro è ricca di parcheggi. Dopo la visita alle opere sanvitesi prenderemo nuovamente le auto per raggiungere la piazza di Prodolone ed evitare un pezzo di dispersione urbana privo di speciale carattere.
L’escursione prevede una camminata lenta di circa sette ore priva di difficoltà. Chi viene con i figli è pregato di prestare a loro le dovute attenzioni.
Vi raccomandiamo un abbigliamento conforme alla stagione variabile soprattutto in considerazione delle previsioni del tempo.
Per i problemi finanziari dell’associazione le escursioni di Scarpe & Cervello non saranno più gratuite, ma sottoposte a una quota di rimborso spese per compensare i costi organizzativi. I non iscritti pagheranno 5 euro mentre gli iscritti 3. Per i bambini rimane tutto gratuito.
Numero massimo di adesioni: cinquanta con obbligo di prenotazione.
Per informazioni e prenotazioni:
Moreno Baccichet: 043476381, oppure 3408645094, bccmrn@unife.it
Legambiente del Friuli Venezia Giulia: 0432 295483, info@legambientefvg.it,
Informazioni aggiornate saranno inserite nel sito dell’associazione: www.legambientefvg.it e www.scarpecervello.blogspot.it

Paesaggi e mappe mentali,

la nuova campagna di Scarpe & Cervello 2012

Per il 2012 abbiamo deciso di indagare i paesaggi regionali utilizzando oltre alle normali cartografie più o meno storiche che usiamo, anche altri ausili iconografici che nel tempo hanno sedimentato una speciale immagine del territorio.
E’, infatti, nostra abitudine frequentare i luoghi con l’ausilio di strumenti cartografici che di volta in volta mostrano aspetti parziali del territorio e delle sue forme (carte geomorfologiche, storiche, topografiche, ecc). Ciascuna di queste carte è un’idea del luogo prodotta dall’estensore del prodotto cartografico sulla base dei suoi interessi e della sua capacità di conoscere e dar forma al territorio attraverso il processo di rappresentazione.
La nuova campagna di Scarpe & Cervello vuole invece indagare il rapporto che intercorre tra l’immagine pittorica o filmica di un ambiente nel momento in cui la stessa diventa espressione storicizzabile di un’idea di paesaggio. La rappresentazione dei luoghi, anche attraverso la fotografia, esprime alcuni dei caratteri paesaggistici con altrettanta parzialità e allo stesso tempo diventa una testimonianza del passato, un reperto iconografico. In modo non diverso vorremmo individuare una serie di iconemi che testimoniano la formazione di un’idea di paesaggio diffusa nella società.
Per le escursioni del 2012 abbiamo deciso di esplorare luoghi descritti da registi, pittori e fotografi per rendere ancor più evidente il salto che esiste tra un paesaggio reale e in continua trasformazione e quello ideale della ripresa. Ci interessa indagare come le arti pittoriche e no siano riuscite descrivere i cambiamenti della società e del fondale paesaggistico regionale.
La nuova campagna regionale avrà per titolo Icone, iconemi e fondali paesaggistici e vuole mostrare otto territori regionali contemporaneamente alla descrizione fornita da pittori e artisti.
Icone, Iconemi e fondali paesaggistici
Da sempre il paesaggio è oggetto di rappresentazioni e non è un caso che lo storico volume di Emilio Sereni, pubblicato 50 anni fa (Storia del paesaggio agrario italiano, 1961), si proponesse di ricostruire la storia delle forme del territorio partendo proprio dall’abbondante iconografia depositata nel nostro patrimonio artistico.
Quei dipinti interpretati permettevano di cogliere il valore ideologico della rappresentazione. L’ambiente più o meno umanizzato assumeva un ruolo importante a volte come componente attiva del quadro, altre volte come fondale. L’ambiente selvaggio del medioevo e la regola produttiva dei reticoli delle colonizzazioni agrarie postrinascimentali, il ruolo delle nuove infrastrutture nel paesaggio dell’800 o i castelli medievali nei fondali di Cima da Conegliano, esprimevano il valore di luoghi che venivano assunti a un ruolo ideale.
Oggi quelle interpretazioni pittoriche ci stupiscono per le possibilità che ci danno nel confrontare il paesaggio antico (attraverso l’icona) con quello attuale, permettendoci così di confrontare allo stesso tempo le mutate pratiche territoriali. Ma le icone paesaggistiche nell’epoca della modernità sono molto cambiate e si sono evolute. La fotografia e il cinema hanno fissato i luoghi nella loro trasformazione permettendoci analisi di confronto capaci di una maggiore definizione. Confrontare una vecchia foto che mostra il Carso triestino glabro e ricco di animali al pascolo con l’attuale copertura di vegetazione più o meno spontanea, assume uno speciale significato scientifico nella lettura delle trasformazioni territoriali e della società che le produce. Non bastasse, la fotografia, più che la pittura, ha permesso la costruzione e la diffusione di alcuni stereotipi paesaggistici che sono dei veri iconemi, cioè “unità elementari di percezione di carattere iconico, collocabili all’interno di un sistema di segni in grado di raffigurare un concetto territoriale e simbolico” (Turri[1]). Senza dubbio la produzione iconica attivata dalla fine dell’800 per rappresentare il castello di Miramare ha contribuito a rinforzare una speciale idea del paesaggio dell’alto Adriatico e la residenza e il parco di Massimiliano, nella loro straordinarietà, sono diventati un iconema di un territorio, quello del flysch triestino, che negli ultimi decenni si è evoluto verso un ambiente pseudoselvatico.
Per alcuni gli iconemi sono delle marche paesaggistiche capaci di evocare disegni territoriali più ampi. Per esempio nell’ultimo secolo l’immagine del Campanile di Val Montanaia a Cimolais è diventato un iconema delle dolomiti friulane. L’immagine richiama alla memoria le cime più dure delle dolomie prive di colonizzazioni vegetali. Pur essendo un oggetto straordinario/primario, capace di sintetizzare una idea dei luoghi, l’iconema è di per se spettacolare. L’iconema può essere un elemento del paesaggio che per la sua rilevante carica simbolica, o la frequenza con la quale si presenta, riesce a caratterizzare un territorio anche ampio. Per esempio, le chiese su colle della Valle del But, o le case coloniche della mezzadria toscana, poste sopra dossi appena accennati, le ville venete della Riviera del Brenta, sono un carattere unico di uno specifico territorio. Sono immagini che riescono a rappresentare un concetto territoriale e simbolico più ampio.
Per fondali paesaggistici, nella ricerca di Scarpe & Cervello 2012, intendiamo l’uso di un contesto paesaggistico nelle riprese di un film in cui l’immagine del territorio e della sua componente paesaggistica, sia stata usato in modo determinante nel racconto filmico. Il paesaggio può essere a secondo dei casi un fondale neutro sul quale dirigere scene che hanno un sapore decontestualizzato, oppure ha il ruolo di costruire il racconto in una sintonia diretta con i fatti e gli uomini che compongono la scena. Il fondale può essere parte della storia, oppure un muto spettatore della stessa.



[1] “Con il termine iconema si definiscono quelle unità elementari di percezione, quei quadri particolari di riferimento sui quali costruiamo la nostra immagine di un paese. […] È la cultura che li ha individua­ti, ci ha insegnato a coglierli, a indicarli come riferimenti del nostro guardare”. EUGENIO TURRI, Semio­logia del paesaggio italiano, Longanesi, Milano 1990.

La corona delle montagne vista dalla pianura del Tagliamento nelle opere di De Rocco e Tramontin



















(http://www.sirpac-fvg.org/ricerche/cont.asp). Nei dipinti di De Rocco le semplificate forme alpine determina una lontananza del fondale dalla scena principale dove si muovono uomini in primo piano. Nel caso di Tramontin invece i paesaggi sanvitesi sono deserti. Luoghi arredati da uomini che sembrano scomparsi e che hanno lasciato forme del paesaggio come reperti archeologici. Il paesaggio non contiene la vita e manca di possibilità evolutive.
Carico la sequenza di opere che ho selezionato per la prossima escursione di Scarpe & Cervello. I dipinti sono di De Rocco, mentre le incisioni sono di Tramontin.