lunedì 27 settembre 2010

ORRIDI "DANTESCHI" E INFRASTRUTTURE MODERNE



Foto di Walter Coletto


Domenica 3 ottobre 2010


Orridi "danteschi" e infrastrutture moderne: la forra del Cellina



Ritrovo: ore 9,00 presso la chiesa di San Rocco (cimitero) a Montereale Valcellina


Malattia della Vallata, all’inizio del ‘900, nell’eco dei miti risorgimentali e patriottici, voleva ricordare una presunta visita di Dante alla Valcellina. La vallata veniva descritta come un luogo segnato da problemi di natura geografica che si ripercuotevano pesantemente nella vita degli abitanti. La costruzione della nuova strada voluta per attrezzare la centrale idroelettrica che avrebbe illuminato Venezia divenne l’occasione in molta letteratura per contrapporre la naturale irruenza del contrasto tra rocce e acque con le capacità tecniche di controllo dell’uomo sull’ambiente.
L'escursione partendo da Montereale ci permetterà di percorrere il vertice della dorsale che serra il Cellina in una valle che per secoli non fu solcata dai viaggiatori. Le vedute permetteranno di cogliere l'ambiente alpino della forra ma anche la grande pianura ghiaiosa costruita dall'irruento fiume in migliaia di anni.
Testi di riferimento: Francesco Dall’Ongaro, Gita nelle Alpi Giulie, in "La Favilla", A.V, n.14, 5 aprile 1840; Giuseppe Malattia della Vallata, Villotte friulane moderne, Maniago, La Tipografica, 1923; Rosanna Paroni Bertoja, Sclis de soréle, Montereale Valcellina, Menocchio, 1999; Antonio De Biasio, Cla(p)s contro la not, Montereale Valcellina, Menocchio, 1998.

I testi
Tentare una selezione dei testi che in qualche modo esprimono il senso dei luoghi che attraverseremo con questa escursione è stata una operazione difficile che ha ridotto a quattro i testi dopo diversi vagli. Alla fine abbiamo scelto la poco nota descrizione di una escursione alpina a Montereale svolta da Francesco Dall’Ongaro, allora giornalista a Trieste, sulle montagne che solo quaranta anni dopo saranno definitivamente chiamate Prealpi Carniche. L’escursione geografica di un forestiero in gita riesce a cogliere molti degli aspetti dell’insediamento che si colloca proprio lungo la linea che divide gli antichi depositi fluviali dalla erta ripa montana.
I testi "barzani" di Malattia della Vallata colgono due diversi miti vallivi: quello dell’antica distruzione di Cellis letta come una faticosa lotta tra l’uomo e la natura che è un ambiente per nulla ospitale, e la strada moderna che come un coltello penetra la montagna portandovi la modernità.
Abbiamo poi scelto le poesie di due contemporanei scrittori di Montereale, Antonio De Biasio e Rosanna Paroni Bertoja che hanno colto con una calcolata sintesi il senso del rapporto tra il versante e la pianura e la socialità di un’acqua domestica e ormai rapita dalle moderne opere di presa della diga.

L’escursione
Partiremo dalla chiesa del cimitero di Montereale e percorreremo le pendici del Monte Castello costeggiando le mura della vecchia "braida" fino a incrociare il nuovo sentiero CAI 996 che in 15 minuti ci condurrà al Pozzo "Cossettini". Si tratta di un sito, presumibilmente del ‘700, recuperato nell’ambito dei lavori eseguiti recentemente sui sentieri del Comune di Montereale.
Salendo dolcemente avremo già modo di volgere lo sguardo verso il Cellina per avere una panoramica complessiva degli interventi eseguiti per la costruzione della diga di Ravedis.
Dopo circa 30 minuti termina la salita (quota 600) in corrispondenza della Val de la Roja (foiba della Vals Corona) dove sosteremo al ritorno. Proseguiremo per altri 20 minuti sempre costeggiando il Cellina e senza variazioni di quota per poi lasciare il sentiero CAI e scendere fino a raggiungere la vecchia strada della Valcellina (località Nale) che percorreremo per circa 1 km. fino a giungere alla Riserva Naturale della Forra del Cellina
Prima della risalita in località Siviledo troveremo l’omonima sorgente.
La risalita (sentiero CAI 996) di circa 300 mt. di quota avviene lungo il confine della Riserva Naturale. Il sentiero prosegue quindi senza sostanziali variazioni di quota fino al rientro in Val de la Roja . Avremo modo di godere di continui squarci panoramici tra la vegetazione sul torrente/lago sottostante. Fino a qui è previsto un tempo complessivo di circa 4 ore.
Dopo la sosta per il pranzo al sacco rientreremo in paese percorrendo un sentiero diverso da quello dell’andata che ci condurrà fino alla località di Grizzo e quindi al rientro.
per chi fa più fatica sarà possibile evitare di scendere sulla vecchia strada e rimanere in quota;
lasceremo una o più auto in Val de la Roja e a Grizzo per eventuali difficoltà al ritorno;

Per partecipare
Per arrivare al punto del ritrovo raggiungete l’abitato di Montereale Valcellina e arrivando da sud attraversate tutto il paese lungo la vecchia strada che conduce a Maniago attraversando il ponte sul Cellina in fronte alla nuova diga di Ravedis. Il cimitero e la chiesa sono posti proprio poco prima del ponte a destra.
L’escursione prevede una camminata lenta che si snoderà lungo sentieri accidentati.
In alcuni tratti il sentiero segnato può aver subito delle erosioni o dei dissesti, quindi l’escursione è consigliata a escursionisti non alle prime esperienze.
E’ indispensabile un abbigliamento da escursione con zaino, scarponi da montagna (no scarpe da ginnastica), impermeabile, ecc.
Pranzo al sacco.
Numero massimo di adesioni: trenta con prenotazione obbligatoria


Per informazioni e prenotazioni:
Moreno Baccichet: 043476381, oppure 3408645094, bccmrn@unife.it
Legambiente del Friuli Venezia Giulia: 0432 295483, info@legambiente.fvg.it,
Informazioni aggiornate saranno inserite nel sito dell’associazione: http://www.legambientefvg.it/

mercoledì 15 settembre 2010

UN VILLAGGIO LIGURE NELL'ALTO ADRIATICO


Ritengo che il progetto di Portopiccolo di Sistiana così come viene pubblicizzato nel sito della società proprietaria meriti una breve riflessione. Si tratta, infatti, di una soluzione progettuale e paesaggistica del tutto nuova rispetto al contesto degli insediamenti di costa che si sono sviluppati in questo settore del mediterraneo. Il porto di Sistiana non è mai stato molto insediato, tantomeno la zona della cava limitrofa. Esposizione e sicurezza da sempre avevano consolidato un insediamento alto e un porticciolo di servizio a livello del mare. Questa soluzione che l’immobiliare sta già promuovendo e vendendo ha una logica antistorica rispetto ai luoghi. Anziché essere un luogo poco insediato si propone un villaggio turistico densissimo e che sembra cancellare ogni segno della stratificazione di segni ed esperienze passate. Persino i profili del bordo della cava vengono profondamente modificati prevedendo nuovi scavi con la scusa di addolcirli. Tutto viene spalmato con un falso villaggio di pescatori che sembra uscito dalle cartoline della Liguria o della costiera tirrenica e che per nulla assomiglia agli insediamenti portuali della Croazia o della riviera adriatica.
L’esasperato riferimento a una architettura popolare inventata e omologata avvicina molto questo villaggio all’esperienza del “tipico” finto degli Outlet sparsi lungo la penisola. Il progetto si propone di costruire un ambiente artificiale capace di toccare le sensazioni di una italianità o mediterraneità che denuncia immediatamente la sua falsità dall’eccezionalità dell’episodio.
Portopiccolo vuole essere la sintesi di un “sapore” italiano antiregionale e globalizzato. Una idea di Italia e di paesaggio italiano che possa essere facilmente compresa da un austriaco, come da un cinese. Si costruisce così, molto sapientemente, un pasticcio architettonico che si spalma lungo i ripidi versanti della baia con soluzioni architettoniche sempre meno definite mano a mano che ci si allontana dall’acqua. Il ricorso agli elementi di un catalogo formale molto POP (piazza, calle, fondamenta, ecc...) contribuisce a cogliere l’attenzione del compratore. Quella di Portopiccolo è una iniziativa molto vicina a quelle del New Urbanism americano e usa le stesse strategie comunicative proponendo ambienti più tipici del tipico, un borgo di pescatori che potrebbe stare a Gardaland, un iperluogo avulso dal contesto e dalla cultura locale… per scelta motivata e perseguita con fredda determinazione.
Sarà bene tenere d'occhio questa iniziativa... anche perché emerge molto curata l'immagine dell'acqua e del rapporto tra l'edificato e la stessa, mentre nulla si sa di come si muoveranno le auto, del loro impatto sul porto vecchio di Sistiana e sulla strada litoranea.

SCARPE & CERVELLO A DUINO



Scarpe & Cervello 2010
Domenica 19 settembre 2010

La costiera duinese da Aurisina a San Giovanni del Timavo
Ritrovo: ore 9,00 presso la piazza di Aurisina, di fronte alla chiesa

Testi di riferimento: Maria Rainer Rilke, Elegie Duinesi, Torino, Einaudi, 1978; Richard Francis Burton, Le terme di Monfalcone, Monfalcone, Edizioni della Laguna, 1992

I testi sono scaricabili dal sito http://www.legambientefvg.it/

L’escursione prevista in territorio di Duino Aurisina ci permetterà di cogliere un diverso rapporto dei luoghi rispetto all’esperienza letteraria di personaggi così diversi come Burton e Rilke. Il primo descriverà questo settore del Carso raccontando l’esperienza di un viaggio diretto al santuario di San Giovanni sul Timavo nel quale i luoghi assumono il rilievo dato dal resoconto di una esplorazione geografica. Per Rilke invece il paesaggio scompare sovrastato dai sentimenti dell’individuo. Il paesaggio è un luogo dell’anima e il territorio una scena sulla quale l’esistenza si esprime.
L’escursione ci condurrà lungo le ampie balconate marine della costiera triestina e lungo la famosa passeggiata Rilke sulle falesie a picco sul mare fino al castello di Duino. Da qui lungo tratturi e strade romane ci dirigeremo verso la foce del sotterraneo Timavo e in vista della “infernale” cartiera Burgo, costruita in uno dei luoghi ambientalmente più delicati della regione.

I testi
Gli autori che ci accompagneranno nell’accostamento ai paesaggi che esploreremo con questa escursione sono profondamente diversi uno dall’altro, come profondamente diverso è il loro rapporto con i luoghi.
Le schede biografiche di Burton e Rilke le potete trovare ai seguenti indirizzi
Qui ci interessa notare come i due scrittori abbiano un atteggiamento antitetico nel relazionarsi ai luoghi che per un tempo consistente si trovarono a frequentare.
Richard Francis Burton (1821-1890) era un antropologo esploratore, oltre che traduttore, e per lo più descrisse le proprie esperienze di esplorazione, sia che si trovasse in Africa o a Trieste.
Irruento e vagabondo entrò a far parte del corpo diplomatico inglese e questo gli diede il modo di viaggiare moltissimo e di svolgere approfondite indagini geografiche imparando ventinove lingue tra le quali l’italiano.
Nel 1853 raggiunse la Mecca travestito da arabo , poco dopo esplorò la Somalia e la zona dei grandi laghi anticipando le esplorazioni di Livingstone e Stanley.


Nel ’61 iniziò la carriera diplomatica che lo portò in Guinea, Brasile, Siria e infine a Trieste dove risiedette per diciotto anni scrivendo memorie di viaggio, resoconti di esplorazioni nella Venezia Giulia e traducendo Le Mille e una notte.
A Trieste sedimentò le esperienze giovanili ma non perse l’occasione per continuare ad esplorare il territorio e il testo oggetto della nostra escursione è uno straordinario esempio di letteratura scientifica e di viaggio. L’oggetto sono le qualità delle terme di Monfalcone, ma in realtà la parte principale del libretto è dedicata all’avvicinamento alle terme. Lo stile è quello del resoconto di viaggio, nonostante si tratti di un’escursione fuori porta, ma l’allenamento all’osservazione e all’incrocio delle osservazioni sul campo con l’indagine bibliografica permisero all’esploratore inglese di cogliere dei segni importanti del paesaggio. Per esempio la veduta dall’alto della baia di Sistiana, oppure la prospettiva dei colli che si immergono nelle ghiaie della pianura.
Come non apprezzare l’atteggiamento scientista dell’autore che per raggiungere le terme continuamente sbanda alla ricerca di segni e di sensazioni, continuamente affascinato dai luoghi?

R.M. Rilke, Elegie duinesi (Duino 1912 / Muzot-Svizzera 1922)
Edizione di riferimento: traduz.M. Ranchettie e J. Leskien, testo a fronte, Milano, Feltrinelli, 2006.

Nelle Elegie duinesi Rilke intraprende un vero e proprio viaggio iniziatico dove l'epifania del reale si compie attraverso una sorta di sprofondamento onirico-visionario in una dimensione atavica in cui convergono, in una perturbante ambivalenza, l'angelico e il terribile, l'elemento salvifico e quello terrifico. L'attraversamento della caducità mortifera delle cose si consuma mediante un moto ascensionale che alla fine individua la poesia-divinazione (il dire) quale unica dimensione veridica, e quindi durevole, del reale:
“Siamo qui forse per dire: casa, ponte, pozzo, porta / brocca, albero da frutto, finestra [...], / per dire, capisci, oh per dire così come le cose stesse / mai intimamente pensavano di essere. / Qui è tempo del dicibile, qui sua patria” (Nona elegia, p. 63).
Il mondo sondato dalla poesia orfica rilkiana è quello di una realtà guardata nella sua vacuità, nel suo essere che non è più, dove l'assenza e la mancanza diventano i suoi tratti connotanti. I luoghi delle elegie sono spesso definiti per il loro essere spazi svuotati dallo scorrere del tempo, per cui la loro unica vera forma di esistenza possibile, nel senso di durevole, è quella della “ricostruzione” dall'interno, cioè attraverso la mente di coloro che li hanno guardati e vissuti:
“In nessun dove, amata, sarà mondo, se non dentro di noi. / La nostra vita passa trasformandosi. E, sempre / riducendosi, il fuori sparisce. Dove una volta era una casa durevole, si propone, di traverso, / una forma pensata, tutta di mente, / come se stesse ancora nel cervello” (Settima elegia, p. 51).
In questo viaggio onirico nell'oltretomba del reale, dove coesistono istanze inconsce e materiali, la poesia assume una funzione divinatoria, rivelatrice di una realtà fatta di assenza esterna (caducità mortifera) e di consistenza interna (ricostruzione-conservazione mentale, ricordo). Anche i luoghi, come il paesaggio esterno, assumono consistenza solo nella ricostruzione formale che la consacra, in questo modo, all'eternità.
Nucleo tematico centrale del componimento è ovviamente il tempo, intorno al quale ruota l'intero universo simbolico delle Elegie e sul quale Rilke articola la dialettica tra il tempo storico della realtà e quello mitico a cui pertiene invece l'amministrazione dell'alternanza ciclica delle stagioni, vale a dire il tempo eterno degli déi.

I luoghi
L’escursione, pur muovendosi all’interno del solo comune di Duino Aurisina, è molto complessa per il succedersi di paesaggi e ambienti molto vari.
Il crinale della scarpata costiera è un esempio di questa complessità paesaggistica che ad Aurisina si esprime nei paesaggi boscati del Carso punteggiato da cave e dalla moderna zona industriale e nelle ampie prospettive a mare percepibili dopo il superamento dell’ultimo crinale. In entrambi i casi le ampie vedute permettono di vivere una esperienza percettiva di singolare valore ambientale nonostante la presenza di moltissimi segni di un paesaggio moderno.
Dalla torre piezometrica posta sopra la strada costiera per stradine e strade raggiungeremo l’insediamento moderno di San Mauro.
Si tratta di una borgata nuova costruita tra il 1955 e il 1962 per ospitare una comunità di profughi giuliani: in pratica italiani che si insediavano in un piccolo comune a prevalenza etnica slava. Il risultato urbanistico di questa colonizzazione è pessimo. L’abitato è privo di gerarchie e centralità ed è una delle peggiori espressioni dell’urbanistica delle emergenze.
Borgo San Mauro oggi è in sostanza saldato con l’abitato di Sistiana e a piedi lungo il marciapiede percorreremo la strada che vide Barton osservare dall’alto il piccolo porticciolo che di li a poco sarebbe diventata una meta turistica.
Il turismo può essere oggi un elemento di valore per Sistiana o un momento di omologante banalizzazione. Vale la pena ricordare che proprio lungo la costa di Sistiana c’è una enorme e storica cava di materiale calcareo abbandonata, che a ogni cambio di proprietà sembra far risorgere progetti che vorrebbero costruire lungo il versante centinaia di alloggi e seconde case.
Da qualche anno anche nel porto di Sistiana qualcosa si sta muovendo alla ricerca del massimo profitto con la minor spesa. L’idea è di costruire, in una baia che è sempre stata scarsamente insediata, un villaggio turistico che abbraccerebbe il piccolo porticciolo con un effetto formale da insediamento ligure. Questa sorta di Portofino giuliana meriterebbe un’attenzione proprio alla costruzione di un messaggio pubblicistico che supera e piega i luoghi costruendo un prodotto commerciale e finto molto simile ai borghi inventati degli Outlet.

A Sistiana incontreremo un luogo ancora diverso ed emozionante percorrendo il sentiero Rilke fino al castello di Duino. Questa costiera di falesie, ora riserva naturale, è molto diversa da quella dolce e mediatrice di Aurisina e la tradizione vuole che fosse il settore di paesaggio frequentato dal poeta boemo impegnato ad esplorare l’anima più che il territorio.
Noi percorreremo questo sentiero che è diventato uno degli itinerari letterari e paesaggistici più famosi d’Italia, anche perché, pur offrendo panorami mozzafiato, non costringe i frequentatori a nessuno sforzo.
Percorreremo il centro di Duino per poi dirigerci alla volta di San Giovanni del Timavo attraversando quell’area che tanto aveva colpito Burton nel suo degradare verso la pianura monfalconese e le linee orizzontali e riposanti del litorale sabbioso.
A differenza dell’esploratore inglese noi ci fermeremo ai piedi di questa borgata che durante la prima guerra mondiale ebbe la sfortuna di trovarsi sulla linea del fronte. Gli edifici presenti sono per lo più ricostruiti e i monumenti che esaltano fatti bellici e militari si sprecano. Noi ci terremmo più bassi nei pressi della chiesa costruita nel punto in cui le masse acquee del Timavo riemergono. Si tratta di un luogo da sempre sacro e irrorato dalla vitalistica presenza acquea che sgorga da una roccia al contrario priva di ruscelli superficiali. Da qui il fiume fa il suo breve corso fino al mare, ma la sensazione è pur sempre speciale se si pensa a alla continua e rinnovata scoperta che popoli e culture diverse hanno fatto di questi luoghi.
Per sciogliere la poesia del luogo basterà però percorrere un centinaio di metri e raggiungere il recinto della grande cartiera Burgo. Una infernale macchina produttiva che ha colonizzato uno degli territori più belli e speciali della regione devastandone la fragilità paesaggistica ed ecologica..
Qui si chiuderebbe l’escursione se non avessimo pensato di raggiungere il vicino Villaggio del Pescatore che ancora una volta ci catapulterà all’interno di una esperienza di visita che nulla ha a che fare con i borghi antichi dei marinai del golfo adriatico. Anche qui come a San Mauro siamo infatti in presenza di un insediamento costruito per i profughi istriani nei pressi delle foci del Timavo.
Questa borgata costruita tra il 1951 e il 1952 con il nome di Villaggio San Marco non ha un impianto urbanistico caratterizzante e anche le case hanno un carattere popolare ed economico.
Qui ci fermeremo in serata per recuperare le auto e per cenare presso l’agriturismo specializzato nell’allevamento di molluschi.

L’escursione
La passeggiata si svilupperà soprattutto su suoli rocciosi o in ambito urbano, In ogni caso saranno sufficienti scarpe da ginnastica. L’itinerario è piuttosto lungo anche se non presenta difficoltà.
Per partecipare
Chi non è triestino raggiungerà Aurisina dall’autostrada (uscita Sistiana) oppure dalla statale per Trieste che passa in fregio all’abitato. La piccola chiesetta è proprio in asse con la lunga piazza del borgo dove si dovrebbe trovare facilmente parcheggio.
L’escursione prevede una camminata lenta di circa sette ore che si snoderà lungo strade campestri, urbane e sentieri. Sono sufficienti scarpe comode e un abbigliamento conforme alla stagione variabile e soggetta ad escursioni termiche.
Pranzo al sacco, mentre chi vuole potrà fermarsi con noi a cenare in un agriturismo.
Numero massimo di adesioni: cinquanta

Per informazioni e prenotazioni:
Moreno Baccichet: 043476381, oppure 3408645094, bccmrn@unife.it
Legambiente del Friuli Venezia Giulia: 0432 295483 info@legambientefvg.it,
Informazioni aggiornate saranno inserite nel sito dell’associazione: http://www.legambientefvg.it/

sabato 11 settembre 2010

MONUMENTI & PAESAGGIO



L’Ara Pacis di Medea è senza dubbio uno dei monumenti più singolari del Friuli Venezia Giulia. E’ contemporaneamente un belvedere, un punto di vista, e allo stesso tempo un Landmark di grande suggestione che chiude fisicamente il panorama del territorio goriziano. Nella sua assenza di volumi, gli alti muri sono privi di copertura, denuncia di essere una architettura che tiene in grande considerazione l’aria e la luce. Il trattamento delle superfici e il biancore del travertino giocano continuamente con l’esposizione solare e il variare delle trasparenze sul paesaggio illuminato.
E’ senza dubbio un edificio misterioso, del quale si sa davvero poco. Persino i motivi del coinvolgimento di Mario Bacciocchi, architetto milanese, in questa vicenda edilizia, che io sappia, non è mai stato sviscerato. Bacciocchi non era certo uno dei principali architetti milanesi del periodo e quest’opera si pone ai vertici della sua produzione personale e all’interno dell’esperienza più lirica del movimento moderno.

Si tratta senza dubbio di un’esperienza che sembra ripercorrere quella dei sacrari del periodo prebellico ma è priva di quella retorica e si esprime con una compostezza che non sappiamo riconoscere a Oslavia, Caporetto o Redipuglia. Allo stesso tempo si tratta di una “macchina” molto diversa da quelle attrezzate da Bogdan Bogdanovic nello stesso periodo a Vukovar, Jasenovac, Mostar, o all’apparato di Ravnikar a Rab. Se questi grandi monumenti sono fatti per essere guardati nel dettaglio della piccola scala, in quello di Bacciocchi la dimensione territoriale del dialogo paesistico non solo si amplia, ma coinvolge anche il territorio che dalla macchina si vede. A Medea c’è una visione meno simbolica dei segni e l’architetto ha cercato di porre l’edificio all’interno e in costante dialogo con un paesaggio ampio. Qui il senso del luogo si esprime e viene reinterpretato in un contesto non umanizzato. Un colle mai insediato, gestito come un grande pascolo pubblico, diventa l’occasione per costruire una macchina prospettiva che poco ha a che vedere con il tema del progetto.

Il muto monumento non racconta i motivi della sua costruzione, non è proprio un’architettura parlante, ma costringe il visitatore a percorrerlo e ad attraversarlo, lungo direttrici di volta in volta diverse, per scoprire nuovi scorci e l’effetto del sole sulle superfici marmoree. Persino l’apparente simmetria del disegno del recinto sacro che contiene l’Ara viene infranta dall’aria. A Sud il lungo e monumentale colonnato viene tamponato da una superficie marmorea che ha il compito di schermare la luce del sole durante le ore più calde dell’estate riparando l’ara. La permeabilità del recinto viene garantita comunque sollevando il setto marmoreo e aprendo la prospettiva verso quelle che erano le balze pascolive dei rilievi occupati dalla chiesetta di San Antonio, ormai trasformati in un bosco mediterraneo quasi continuo. Al contrario, a Nord la trasparenza verso la conca goriziana è massima.
L’edificio si attacca a terra senza organizzare gli spazi del contesto dichiarando di porsi in relazione al lontano, più che al vicino, esattamente il contrario di quello che era accaduto nel primo dopoguerra sullo stesso colle, quando a seguito del restauro della cappella di San Antonio era stato attrezzato una sorta di giardino oggi in crisi a causa della mancata manutenzione. Nessun verde addomesticato ha il compito di risolvere l’inserimento del monumento nel colle e non se ne sente la necessità. Solo la vegetazione spontanea sembra, anno dopo anno, intaccare la “macchina” e chiudere quelle ampie prospettive. Non a caso il Piano Territoriale del 2007 avrebbe imposto delle azioni di tutela delle viste percepibili dal colle, ma il piano è rimasto lettera morta e così ogni buon proposito.

venerdì 10 settembre 2010

FOTO DI MEDEA


I volumi interni all'Ara
























I grandi pilastri della parete sud dell'Ara Pacis sorreggono un setto che mitiga la luce solare mentre la trasparenza permetteva di cogliere la veduta della cresta del colle ora inselvatichita


Veduta della piana alluvionale tra il Carso e il Colle di Medea













venerdì 3 settembre 2010

UNA COLLINA DI CALCARE IN MEZZO ALLA GHIAIE:
IL TORRE E IL COLLE DI MEDEA


DOMENICA 5 SETTEMBRE
Ottava tappa della campagna regionale dedicata al paesaggio
Ritrovo: ore 9,30 di fronte alla chiesa di San Vito al Torre

Testo di riferimento:
Hans Kizzmüller, Il colle di Medea, in e in lontananza Gorizia, Gorizia, LEG, 2009


 Una piccola porzione dei calcari carsici del goriziano si erge come un’isola in mezzo alle ghiaie dei depositi fluviali portati dal Torre e dai suoi affluenti. Le acque scorrono ai piedi del colle asciutto che fu sempre usato dalle comunità di Medea e Borgnano come territorio per il pascolo vagantivo.
Kizzmüller nel suo racconto cerca di descrivere questo colle che da solo è un importante landmark per l’alta pianura goriziana e udinese, quasi un limite fisico, una misura, della dimensione della conca goriziana.
Se il colle di Medea è una straordinaria balconata vi arriveremo lentamente attraversando tre fiumi che sfociano progressivamente uno nell'altro: il Versa, lo Iudrio e il Torre. Il motivo è quello di cogliere la specialità delle alluvioni che hanno costruito l'armatura fisica della campagna in molti tratti ancora ben conservata ai piedi dei calcari.