venerdì 3 ottobre 2003

Resoconto della prima escursione di Scarpe & Cervello: da Caneva a Polcenigo

Il castello di Caneva
Le condizioni del castello di Caneva sembrano essere abbastanza buone. La frequentazione di questo sito archeologico, oggi quasi completamente in rovina, ha permesso all'amministrazione comunale e alla Pro-Castello di recuperare alcuni significati che il luogo ha sempre avuto per la comunità locale.
L'esito degli scavi condotti tra il 1995 e il 1998 è senza dubbio positivo. I manufatti del settore del mastio sono stati restaurati e consolidati e le strutture di protezione al luogo della "canipa" patriarcale vengono intelligentemente utilizzate anche per le attività ludiche che si svolgono in questo luogo.
Di  recente si è provveduto al restauro di alcuni tratti delle mura posti lungo il grande vallo che isolava il borgo castellano dal resto del Col del Ferro. Per segnalare questa ripresa dei valori identitari del luogo, recentemente, si è dotato il sito di un sistema di illuminazione che rende evidente la rovina anche durante le ore più buie. Questo artificio è senza dubbio pesante, ma non possiamo non notare che anno dopo anno gli spazi usati di questo vecchio maniero patriarcale aumentano a svantaggio dei rovi e della vegetazione, quindi anche questo modo di porre all’attenzione di tutti il sito sembra dare buoni risultati.
L'assessore all'ambiente Fullin, intervenuto per guidarci alla scoperta del castello, ha assicurato che l'attuale amministrazione rilancerà una campagna di scavi estesa anche ai luoghi meno importanti dal punto di vista militare del villaggio fortificato. In questo senso crediamo che sia importante continuare sulla strada già fatta subordinando la costruzione di strutture per la ricreazione allo scavo archeologico e al consolidamento delle emergenze murarie.
Il Castello di Caneva potrebbe diventare, alla stregua di quello di Osoppo, un grande parco archeologico sul periodo medievale, periodicamente usato per le manifestazioni folcloristiche, concerti, convegni, ecc. Insomma, un oggetto territoriale di grande prestigio e attrattiva.


  
Il castellir di Sarone
Questa struttura fortificata, di tradizione protostorica, trovava la sua naturale collocazione su un dosso montuoso, fortemente inciso, soprastante Sarone. Oggi non rimane nessun segno di quella fortificazione perché una cava si è "mangiata" quel pezzo di montagna. Questo episodio mette in risalto una problematicità del rapporto tra beni culturali e archeologici: se non si perviene a una consapevole valorizzazione delle memorie ancora conservate nei luoghi, c'è il rischio che si dissolva il rapporto identitario che lega la comunità locale agli stessi.
Gli abitanti di Sarone non considerano più i primi contrafforti montuosi come una cosa propria e di conseguenza non hanno protestato quando si è messo mano alla distruzione del castelliere che per migliaia di anni aveva dominato il loro villaggio. Questa distruzione è il frutto di un distacco pesante della gente del pedemonte dal proprio territorio.
Oggi recuperare le informazioni che erano presenti in quel luogo è assolutamente impossibile, ma è senza dubbio importante procedere con sondaggi e rilievi all'indagine delle aree limitrofe al distrutto colle.
  
La cortina di Sarone
Sarone in antico non aveva una piazza. Per realizzare qualcosa che potesse sembrare uno spazio aperto pubblico si procedette alla distruzione di quella parte della vecchia cortina medievale che fronteggiava la chiesa ricostruita nell'800 dall'ing. Lorenzetti di Sacile. La necessità di costruire di fronte al sagrato uno spazio sufficiente per far percepire la nuova facciata portò alla distruzione degli ultimi resti della cortina. Infatti, la maggior parte della stessa era stata distrutta per procedere all'ampliamento della chiesa.
Oggi quello spazio è ridotto ad essere un parcheggio e delle antiche murature non è rimasta alcuna traccia

Il colle di San Martino
Il colle di San Martino, alla stregua del castello di Caneva, viene saltuariamente utilizzato per iniziative e feste popolari che si svolgono nell'area che circonda l'omonima chiesetta. Durante la visita abbiamo avuto modo di notare come la stessa si erga su un dosso molto ripido e di modeste dimensioni. Tutto attorno si rintracciano i resti di muraglie e aggeri difficilmente riconducibili ad operazioni di spietramento, o comunque non legati all'attività agricola.
I tratti meglio conservati certificano che queste strutture non erano legate con malta e che hanno, nei secoli, subito diverse modifiche e trasformazioni. L'ipotesi di un sito insediato in epoca antica o protostorica e poi riutilizzato in età medievale ci sembra una ipotesi plausibile, soprattutto alla vista dello speciale rapporto che legava, sia nella gestione feudale, sia nel sistema di avvistamento e segnalazione, questo luogo alle torri del Longon.

La torre del Livenza e quella del Longon
Non ci è stato possibile toccate il suolo nei pressi della presunta torre del Livenza perché oggi il fiume segue un percorso diverso dall'originario e l'antico meandro che proteggeva la specola è stato profondamente modificato. Oggi il sedime della torre è in territorio di Polcenigo, ma la consultazione della cartografia storica rende esplicito il rapporto che intercorreva tra la stessa e la torre del Longone, della quale abbiamo rintracciato la base.
Le due torri erano perfettamente visibili dal Col di San Martino, ma forse facevano parte di un sistema di difesa più esteso, antecedente alla concessione feudale del 1350. L'escursione ha permesso di visitare agevolmente i resti della torre del Longon, posta su una piccolo dosso di fronte alla villa eretta dai Corner nel settecento.
Il manufatto ha base quadrata ed è costruito in blocchi di conglomerato fugati con malta. La particolare forma dei resti fa pensare che la condizione attuale sia il frutto di una demolizione voluta e programmata più che di un crollo. Si può infatti pensare che il Patriarca di Aquileia, alla fine delle lotte contro i caminesi, abbia deciso di distruggere scientificamente ogni opera costruita durante le manovre militari, in modo da non dare la possibilità a signorotti e/o briganti di riutilizzare le fortificazioni.
  
La cortina di Coltura e il "Castelet"
Della cortina di Coltura non è rimasto più nulla. Questa era posta a sud ovest rispetto all'attuale chiesa parrocchiale e probabilmente sfruttava un terrazzo molto inciso. Il fatto che sul luogo non sia rimasto nessun segno di quel fortilizio è forse il frutto di un riutilizzo delle pietre durante le diverse fasi della costruzione o dei restauri della chiesa. Certo è che la traccia del microtoponimo dovrà essere verificata con nuovi sopralluoghi o con ulteriori verifiche documentarie.
Una situazione simile si presenta anche per il sito del Castelet, posto poco a est del Masaret, presso il quale non siamo riusciti a riconoscere alcun luogo caratterizzato dai resti di fortificazioni antiche.

Il castello di Polcenigo
A Polcenigo siamo stati accolti dall'assessore alla Cultura Angela Sanchini che ci ha illustrato gli ultimi sviluppi della questione legata al progetto di recupero del castello. Il maniero, citato già nel 963, è uno dei più antichi del Friuli e potrebbe conservare molte sorprese se solo si promuovesse una estesa campagna di scavi. In questo primo frangente, invece, si sta pensando al recupero e al consolidamento delle murature medievali e moderne che cingono la vetta del colle. Un primo finanziamento sta per garantire l'inizio dell'opera, e allo stesso seguiranno le risorse per altri due lotti funzionali al progetto. L'intenzione dell'amministrazione è quella di recuperare la funzionalità dei luoghi per permettere, alla stregua dell'esperienza canevese, gli usi legati a occasioni particolari di manifestazioni e iniziative culturali a scala locale e provinciale.
In questo senso l'assessore ha anticipato l'intenzione di aderire a un progetto di scala comprensoriale che trasformi questo luogo abbandonato in un polo dell’auspicabile sistema ecomuseale del comprensorio montano del pordenonese.






Nessun commento:

Posta un commento