Il castello di Caneva
Le condizioni del castello di Caneva sembrano essere
abbastanza buone. La frequentazione di questo sito archeologico, oggi quasi
completamente in rovina, ha permesso all'amministrazione comunale e alla
Pro-Castello di recuperare alcuni significati che il luogo ha sempre avuto per
la comunità locale.
L'esito degli scavi condotti tra il 1995 e il 1998 è senza
dubbio positivo. I manufatti del settore del mastio sono stati restaurati e
consolidati e le strutture di protezione al luogo della "canipa"
patriarcale vengono intelligentemente utilizzate anche per le attività ludiche
che si svolgono in questo luogo.
Di recente si è
provveduto al restauro di alcuni tratti delle mura posti lungo il grande vallo
che isolava il borgo castellano dal resto del Col del Ferro. Per segnalare
questa ripresa dei valori identitari del luogo, recentemente, si è dotato il
sito di un sistema di illuminazione che rende evidente la rovina anche durante
le ore più buie. Questo artificio è senza dubbio pesante, ma non possiamo non
notare che anno dopo anno gli spazi usati di questo vecchio maniero patriarcale
aumentano a svantaggio dei rovi e della vegetazione, quindi anche questo modo
di porre all’attenzione di tutti il sito sembra dare buoni risultati.
L'assessore all'ambiente Fullin, intervenuto per guidarci
alla scoperta del castello, ha assicurato che l'attuale amministrazione
rilancerà una campagna di scavi estesa anche ai luoghi meno importanti dal
punto di vista militare del villaggio fortificato. In questo senso crediamo che
sia importante continuare sulla strada già fatta subordinando la costruzione di
strutture per la ricreazione allo scavo archeologico e al consolidamento delle
emergenze murarie.
Il Castello di Caneva potrebbe diventare, alla stregua di
quello di Osoppo, un grande parco archeologico sul periodo medievale,
periodicamente usato per le manifestazioni folcloristiche, concerti, convegni,
ecc. Insomma, un oggetto territoriale di grande prestigio e attrattiva.
Il castellir di
Sarone
Questa struttura fortificata, di tradizione protostorica,
trovava la sua naturale collocazione su un dosso montuoso, fortemente inciso,
soprastante Sarone. Oggi non rimane nessun segno di quella fortificazione
perché una cava si è "mangiata" quel pezzo di montagna. Questo
episodio mette in risalto una problematicità del rapporto tra beni culturali e
archeologici: se non si perviene a una consapevole valorizzazione delle memorie
ancora conservate nei luoghi, c'è il rischio che si dissolva il rapporto
identitario che lega la comunità locale agli stessi.
Gli abitanti di Sarone non considerano più i primi
contrafforti montuosi come una cosa propria e di conseguenza non hanno
protestato quando si è messo mano alla distruzione del castelliere che per
migliaia di anni aveva dominato il loro villaggio. Questa distruzione è il
frutto di un distacco pesante della gente del pedemonte dal proprio territorio.
Oggi recuperare le informazioni che erano presenti in quel
luogo è assolutamente impossibile, ma è senza dubbio importante procedere con
sondaggi e rilievi all'indagine delle aree limitrofe al distrutto colle.
La cortina di Sarone
Sarone in antico non aveva una piazza. Per realizzare
qualcosa che potesse sembrare uno spazio aperto pubblico si procedette alla
distruzione di quella parte della vecchia cortina medievale che fronteggiava la
chiesa ricostruita nell'800 dall'ing. Lorenzetti di Sacile. La necessità di
costruire di fronte al sagrato uno spazio sufficiente per far percepire la
nuova facciata portò alla distruzione degli ultimi resti della cortina.
Infatti, la maggior parte della stessa era stata distrutta per procedere all'ampliamento
della chiesa.
Oggi quello spazio è ridotto ad essere un parcheggio e delle
antiche murature non è rimasta alcuna traccia
Il colle di San
Martino
Il colle di San Martino, alla stregua del castello di
Caneva, viene saltuariamente utilizzato per iniziative e feste popolari che si
svolgono nell'area che circonda l'omonima chiesetta. Durante la visita abbiamo
avuto modo di notare come la stessa si erga su un dosso molto ripido e di
modeste dimensioni. Tutto attorno si rintracciano i resti di muraglie e aggeri
difficilmente riconducibili ad operazioni di spietramento, o comunque non
legati all'attività agricola.
I tratti meglio conservati certificano che queste strutture
non erano legate con malta e che hanno, nei secoli, subito diverse modifiche e
trasformazioni. L'ipotesi di un sito insediato in epoca antica o protostorica e
poi riutilizzato in età medievale ci sembra una ipotesi plausibile, soprattutto
alla vista dello speciale rapporto che legava, sia nella gestione feudale, sia
nel sistema di avvistamento e segnalazione, questo luogo alle torri del Longon.
La torre del Livenza
e quella del Longon
Non ci è stato possibile toccate il suolo nei pressi della
presunta torre del Livenza perché oggi il fiume segue un percorso diverso
dall'originario e l'antico meandro che proteggeva la specola è stato
profondamente modificato. Oggi il sedime della torre è in territorio di
Polcenigo, ma la consultazione della cartografia storica rende esplicito il
rapporto che intercorreva tra la stessa e la torre del Longone, della quale
abbiamo rintracciato la base.
Le due torri erano perfettamente visibili dal Col di San
Martino, ma forse facevano parte di un sistema di difesa più esteso,
antecedente alla concessione feudale del 1350. L'escursione ha permesso di
visitare agevolmente i resti della torre del Longon, posta su una piccolo dosso
di fronte alla villa eretta dai Corner nel settecento.
Il manufatto ha base quadrata ed è costruito in blocchi di
conglomerato fugati con malta. La particolare forma dei resti fa pensare che la
condizione attuale sia il frutto di una demolizione voluta e programmata più
che di un crollo. Si può infatti pensare che il Patriarca di Aquileia, alla
fine delle lotte contro i caminesi, abbia deciso di distruggere
scientificamente ogni opera costruita durante le manovre militari, in modo da
non dare la possibilità a signorotti e/o briganti di riutilizzare le
fortificazioni.
La cortina di Coltura
e il "Castelet"
Della cortina di Coltura non è rimasto più nulla. Questa era
posta a sud ovest rispetto all'attuale chiesa parrocchiale e probabilmente
sfruttava un terrazzo molto inciso. Il fatto che sul luogo non sia rimasto
nessun segno di quel fortilizio è forse il frutto di un riutilizzo delle pietre
durante le diverse fasi della costruzione o dei restauri della chiesa. Certo è
che la traccia del microtoponimo dovrà essere verificata con nuovi sopralluoghi
o con ulteriori verifiche documentarie.
Una situazione simile si presenta anche per il sito del
Castelet, posto poco a est del Masaret, presso il quale non siamo riusciti a
riconoscere alcun luogo caratterizzato dai resti di fortificazioni antiche.
Il castello di
Polcenigo
A Polcenigo siamo stati accolti dall'assessore alla Cultura
Angela Sanchini che ci ha illustrato gli ultimi sviluppi della questione legata
al progetto di recupero del castello. Il maniero, citato già nel 963, è uno dei
più antichi del Friuli e potrebbe conservare molte sorprese se solo si
promuovesse una estesa campagna di scavi. In questo primo frangente, invece, si
sta pensando al recupero e al consolidamento delle murature medievali e moderne
che cingono la vetta del colle. Un primo finanziamento sta per garantire
l'inizio dell'opera, e allo stesso seguiranno le risorse per altri due lotti
funzionali al progetto. L'intenzione dell'amministrazione è quella di
recuperare la funzionalità dei luoghi per permettere, alla stregua
dell'esperienza canevese, gli usi legati a occasioni particolari di
manifestazioni e iniziative culturali a scala locale e provinciale.
In questo senso l'assessore ha anticipato l'intenzione di
aderire a un progetto di scala comprensoriale che trasformi questo luogo
abbandonato in un polo dell’auspicabile sistema ecomuseale del comprensorio
montano del pordenonese.
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