martedì 25 giugno 2013

Le caserme di Pontebba e Chiusaforte

Domenica 30 giugno

Ritrovo ore 9,30 a Pontebba di fronte alla Caserma della Guardia di Finanza Gollino e Marinelli


La parte storica della Caserma Bertolotti di Pontebba

Percorso

Con questa escursione percorreremo il canale del Fella nel punto dove si fa più stretto e infrastrutturato, lungo il percorso recentemente recuperato della ferrovia Pontebbana costruita nel 1878. Questa profonda incisione trova uno sfogo solo in corrispondenza di Chiusaforte, dove la valle si apre. L’escursione si muoverà lungo la pista ciclopedonale che è uno speciale punto di osservazione lungo la stretta che qualcuno aveva immaginato come lo scenario dell’invasione delle truppe del Patto di Varsavia. Da Pontebba a Chiusaforte la vecchia ferrovia è in leggera discesa con pendenza costante e quindi non ci sono problemi escursionistici, se non quello di cercare di individuare le postazioni che avrebbero impedito lo sfondamento lungo la strada ferrata.
Tempo di percorrenza: 7 ore
Grado di difficoltà: nessuno e, a parte la lunghezza, è adatta a tutti.
La passeggiata si svilupperà lungo una pista ciclopedonale, quindi sono sufficienti scarpe da ginnastica o da trek e un abbigliamento “a cipolla”. Lasceremo alcune auto a Chiusaforte e provvederemo poi a riaccompagnare gli autisti a Pontebba. Chi vuole può raggiungerci e tornare in treno.  


Motivazioni per la scelta dell’itinerario
Lungo la valle del Fella furono localizzate le più importanti caserme per i militari che avrebbero dovuto sostenere la prima ondata d’urto. Le caserme furono localizzate in corrispondenza delle storiche stazioni ferroviarie perché dovevano essere raggiunte da ragazzi che provenivano da tutta la penisola. La ferrovia Pontebbana innervava e ritmava la vita di fanti, artiglieri e alpini costretti a passare un anno della loro vita quasi in esilio in questo budello di rocce e acqua. I villaggi della Val Canale e del Canal del Ferro non erano certo in grado di garantire attrazioni e svaghi. Durante la fase della militarizzazione i soldati riuscirono a incidere nei costumi della vallata e anche nella sua economia. Sorsero le prime pizzerie per accontentare il gusto “esotico” richiesto da ragazzi che avevano diverse tradizioni alimentari. Due passi per il paese e la rituale visita a bar, ristori e tabacchini erano le sole attività di svago che ci si poteva permettere, quando le cose non andavano addirittura al contrario. Per esempio, a Chiusaforte gli abitanti potevano usufruire del cinema interno alla modernissima caserma.
I paesi, dopo le prime fasi dello spopolamento, tornarono a rinascere con attività del terziario legate anche alle nuove infrastrutture confinarie. Soprattutto a Pontebba la ferrovia fu uno dei principali motori di ripresa economica. Decine di dipendenti delle FS e della Finanza riempivano gli appartamenti vuoti e davano un aspetto più urbano al paese.
Oggi, invece, la crisi dell’infrastruttura militare, la completa dismissione delle attività frontaliere e l’allontanamento del traffico passante sull’asse di scorrimento veloce dell’autostrada hanno comportato un esponenziale decadimento del paesaggio urbano. Sempre di più a Pontebba e a Chiusaforte i paesaggi dell’abbandono, quando non assumono il carattere di un “terzo paesaggio”, si rendono espliciti. Nei prossimi anni questo processo di dissoluzione delle pratiche d’uso con il conseguente sviluppo di naturalità si esprimeranno non solo lungo i versanti alpini, ma anche all’interno di quelle che per una quarantina d’anni furono borgate densamente abitate dai militari.

Descrizione del percorso

Pontebba per secoli fu un villaggio doppio, come accade molto spesso in situazioni di confine. Da una parte c’erano gli italiani (Pontebba) e dall’altra gli austriaci (Pontfel). Durante il periodo del medioevo patriarcale e l’età moderna veneziana il tema dei due borghi contrapposti e divisi da un corso d’acqua fu determinante per costruire una identità frontaliera. Questa non venne meno nemmeno quando il confine, dopo la prima guerra mondiale, fu spostato a Tarvisio. La cittadina mantenne il senso del limite seppure la ristrutturazione urbana volesse affermare la nuova e romana unità tra le due borgate. Il nuovo municipio, progettato da Provino Valle nello stile di un barrocchetto di gusto romano, sorse sulla ex riva friulana e voleva affermare che il gusto italico era arrivato fino in queste lande. Lo stile tradizionale del canale era aborrito dalle opere pubbliche e le due caserme, quella della Finanza sulla riva “austriaca” del torrente, e quella dell’esercito, lungo il Fella, finirono per essere rappresentate con un gusto severo, ma italico.
Dopo la seconda guerra mondiale Pontebba divenne un nodo strategico nel sistema della difesa italiana e un importante centro per i militari dell’artiglieria da montagna. La caserma Bertolotti, la più vecchia, ha un nucleo attribuibile al periodo tra le due guerre, ma dopo il secondo conflitto dovette essere ampliata moltissimo in fregio al Fella occupando anche pericolosi spazi della golena e producendo una vera e propria strettoia nell’alveo. Su questo ripiano più basso stavano locali di servizio, la mensa, il cinema, la cappella, ma soprattutto le stalle dei muli che nel 2012 sono state demolite.
La caserma Bertolotti sul finire del Novecento
La caserma fu sede del Gruppo Artiglieria da Montagna Osoppo e poi del Gruppo Artiglieria da Montagna Belluno che fu sciolto il 31 ottobre del 1989.

Nel 2008 la caserma è passata al comune e versa in uno stato di completo abbandono, ma anche le poche idee sono confuse e irrealizzabili come si leggeva già nel Messaggero Veneto del 21 maggio 2008: “tutto però dipenderà dal futuro di Passo Pramollo. Se la nuova telecabina sarà realizzata infatti le due ex caserme potrebbero diventare strutture molto appetibili, sia da un punto di vista commerciale che residenziale. Tra le proposte giunte all’amministrazione comunale infatti, c’è quella di trasformare la Bertolotti in un centro benessere o in un centro commerciale per la vendita in outlet dell’abbigliamento”. Non si capisce quale sarebbe il bacino di attrazione sul quale dovrebbe gravitare chi vuole benessere o moda a un prezzo conveniente. Certo è che ancora una volta le amministrazioni locali si trovano ad annaspare nel buio delle idee cercando miti di sviluppo improbabili. Come un comune come Pontebba possa “digerire” una struttura militare che misura quasi quattro ettari è davvero difficile da comprendere. Di sicuro non si capisce come il paese possa avere un centro commerciale capace di sopravvivere con il turismo invernale che come si sa non ha prodotto posti di lavoro nè a Sella Nevea nè a Piancavallo.
Per contro, dopo le alluvioni del 29 agosto del 2003 la Regione ha speso moltissimo denaro per ricostruire l’argine e bonificare la parte della caserma che era stata alluvionata. Per cominciare, anziché continuare a difendere il nulla, si potrebbe ridare al fiume quella golena che negli anni ’50 gli era stata tolta provvedendo a demolire tutti i capannoni che si trovano all’interno dell’area a rischio idraulico. E’ già difficile pensare a come recuperare le caserme che erano state costruite sui terreni più alti, che senso ha sforzarsi di inventare un futuro a dei capannoni privi di valore? L’ente pubblico dovrebbe porre al primo punto nel tema della riconversione delle caserme ogni azione possibile per riequilibrare il dissesto idrogeologico prodotto nell’ultimo mezzo secolo.
L’alveo adibito a caserma e le stalle dei muli demolite nel 2008 con sullo sfondo il viadotto autostradale


Sopra il paese si trova la caserma Fantina che ha una superficie di soli 8.000 mq ed era abitata dal Battaglione Alpini d'Arresto della Brigata Alpina Julia. Poco distante la Caserma Zanibon è stata in gran parte demolita e si presenta come un grande vuoto di idee che assume la progressiva forma del degrado. In queste due caserme poste sopra il paese storico il solo edificio riutilizzato è la sede della locale sezione degli alpini.
La Pontebba storica sembra incapace di promuovere una propria idea di sviluppo e come aveva di fatto subito il processo di militarizzazione e la costruzione del nodo ferroviario, oggi attende da fuori una soluzione alla propria crisi.
Fino a pochi anni fa la politica regionale prevedeva che la cessione degli immobili ai comuni avrebbe fatto partire ipotesi di sviluppo e di promozione economica nuove per Pontebba. Il turismo invernale, economia che ha presentato negli altri poli regionali tutti i suoi difetti e la sua crisi, veniva proposto a Pontebba come la soluzione alla crisi insediativa. Il programma economico prevedeva investimenti per diversi milioni di euro senza nemmeno valutare se il pacchetto Pramollo avrebbe poi avuto degli utili sul versante italiano. In ogni caso si proponeva che le tre caserme e molte delle aree dismesse della ferrovia sarebbero state messe a disposizione di imprenditori privati, che ancora una volta sarebbero venuti da fuori, e che avrebbe costruito un sistema economico alternativo a quello storico. Il progetto prevedeva la costruzione di una grande cabinovia con partenza da Pontebba e arrivo sulla cima del Monte Madrizze, 10 km di piste sciabili in territorio italiano e relativi impianti di innevamento, parcheggi a valle e presso la stazione intermedia, ricettività per circa 600 posti letto e strutture commerciali e di servizio a fondo valle. Un progetto che si valutava costasse circa 76 milioni di euro dei quali 44 forniti dalla Regione, in sostanza a fondo perduto. Nessuno valutava che i costi di ammortamento e quelli di manutenzione sarennero stati enormi che prima di cominciare a guadagnare qualcosa bisognava coprirli con almeno 7-8 milioni di euro. Il risultato per i territori alpini è che ancora una volta ad aspettare la “gallina dalle uova d’oro” si è persa ogni possibilità di agire direttamente e dall’interno della società locale, magari anche solo iniziando a copiare il “modello Sauris”.

Scendendo a valle lungo la ex ferrovia ricca di opere di archeologia industriale incontreremo la polveriera di Pietratagliata che aveva il compito di rifornire le postazioni di arresto poste a valle di Pontebba lungo il Vallo Alpino. Queste non sono facili da rintracciare ora perché la vegetazione cresciuta nel frattempo le ha celate ulteriormente alla vista. 
Si trattava di postazioni dotate di armi anticarro e mitragliatrici. Il più delle volte scavate nella roccia e raggiungibili attraverso cunicoli illuminati e areati.
          
L’ultima struttura che vedremo è quella enorme di Chiusaforte, una caserma grande come tutto il paese, che va colta anche nella complessità del luogo. Infatti per reperire un’area abbastanza grande da costruire un tale complesso di alloggi si dovette ridurre di molto l’alveo del fiume proprio nel punto in cui il Fella usciva dalla stretta gola di Dogna. Questo luogo, che era sempre stato uno spazio di dispersione e in sostanza una vasca in cui le acque perdevano la loro forza spagliando, fu pesantemente canalizzato e poi ulteriormente ridotto dal passaggio dell’autostrada. La caserma ricostruita interamente all’inizio degli anni ’80 a seguito dei danni del terremoto era una delle più moderne ed efficienti del settore alpino e si estendeva su un’area di circa settantamila metri quadrati.        
Per ora la sola opera realizzata è il recupero di una porzione di piano terra di una delle palazzine per realizzare un impianto di biomassa che di fatto riscalda solo la vicina scuola. Infatti, proprio in ampliamento alla zona delle caserme, non molti anni fa l’amministrazione comunale ha realizzato il nuovo insediamento scolastico e la sede della protezione civile, senza che ci fosse la possibilità di recuperare qualcuno degli edifici in crisi. Oggi, dopo quell’occasione perduta, restano, invece, ancora molto vaghe le ipotesi di riorganizzazione funzionale dell’area che nelle intenzioni dell’amministrazione dovrebbe diventare una zona industriale centrata su una “filiera” produttiva tutta da inventare. Certo è che una riconversione di questo tipo della Zucchi presupporrebbe la completa eliminazione degli edifici pluriplano costruiti con criteri antisismici negli anni ’80 e oggi riutilizzati solo in piccolissima parte come sede degli alpini e come centro per anziani.
In centro a Chiusaforte vedremo anche alcuni edifici residenziali abbandonati, le palazzine per gli ufficiali, che per contro potrebbero essere facilmente recuperati, ma che ancora lo Stato non ha deciso di porre in vendita, aumentando la percezione di abbandono e disagio. Quelle famiglie che non ci sono più non contribuiscono a rendere più vitale il tessuto economico del paese, tant’è che Chiusaforte negli ultimi dieci anni ha perso una quindicina di attività commerciali che un tempo si reggevano sull’economia della caserma e quella della strada statale. 
Tra le diverse e fantasiose proposte di recupero dell’area della ex Zucchi c’è quella di una società emiliana che si è detta disponibile a mantenere la caserma così com’è pur di poter utilizzare la copertura per farne un impianto di fotovoltaico da quasi un milione di kilowatt annui di energia elettrica. Quindi il prossimo paesaggio a venire sarebbe legato al mantenimento di vuote strutture murarie per sfruttare solo una parte delle coperture. Per contro la centrale a biomasse, quella a olio vegetale e il capannone industriale recentemente costruito dal comune rimangono vuoti e inutilizzati dimostrando come molto spesso questi spazi dell’abbandono siano luoghi per la sperimentazione di idee non sempre felici.

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Bibliografia


http://fanteriadarresto.altervista.org/index_fda.html

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