lunedì 12 settembre 2011

Dal Sincrotrone al Rozzol Melara. Attrezzature speciali sul Carso



Scarpe & Cervello 2011
Iperpaesaggi, superluoghi e territori ibridi


Domenica 18 settembre
Dal Sincrotrone al Melara
Attrezzature speciali sul Carso


Ritrovo nel parcheggio dell’Area Ricerca di Padriciano, ore 9,30


L’escursione si propone di percorrere un ambiente, quello del Carso, transitando per due luoghi molto particolari e incoerenti con il paesaggi della scarpata triestina. L’area del sincrotrone e del centro ricerca di livello europeo, posto a fianco di piccoli insediamenti slavi dai rapporti spaziali molto misurati. Scenderemo poi lungo le pendici del Carso triestino per leggere gli effetti degli ultimi progetti di collegamento autostradale con la Slovenia e per finire l’escursione ai piedi di due potenti Landmark triestini: le torri di Semerani e Tamaro per l’Ospedale e il grande quadrato di residenza e servizi del Rozzol Melara.

I motivi
Il Carso e la scarpata triestina sono degli ambienti molto speciali seppure in progressiva trasformazione per il ridursi sempre più evidente delle attività di coltivazione e pascolo. Ma sul Carso non crescono solo alberi selvatici, ma anche strani e incoerenti oggetti territoriali che con quell’ambiente hanno poco a spartire e che provengono da desideri e finalità esogene alle comunità locali. Come altro interpretare le due sedi dell’area di ricerca o il monumento di Basovizza, oppure il recinto prativo del Golf Club?
L’altipiano, attraversato da un importante infrastruttura viabilistica , negli ultimi decenni ha visto nascere alcuni nuovi recinti, delle enclave particolari che nulla hanno a che fare con gli insediamenti di Padriciano e Basovizza. Attrezzature espulse dalla città che occupano luoghi che sembrano non avere una logica geografica o territoriale se non quella di essere adiacenti a una uscita autostradale.
La città della scienza non sta nei quartieri urbani più prestigiosi e storici, ma all’interno di un ambiente verde e lontano da comodi servizi cittadini. Le due aree di ricerca non dialogano con l’ambiente urbano e sono state progettate considerando importanti non le sinergie con altre funzioni della città, ad esempio l’ospitalità, la mobilità pubblica, la ricreazione, i servizi, ma sono quasi delle cittadelle autosufficienti con ristoranti propri e foresterie. Il parco della scienza è stato costruito come un quartiere specializzato e alternativo alla città. Allo stesso tempo assume il nome di Park, ma non perché sta all’interno di un ambiente naturale ma proprio per la sua alta specializzazione e per il carattere autoreferenziale del suo stesso esistere. Queste strutture potrebbero stare qui o in ogni altro luogo. Forse con maggiore coerenza dovrebbero stare all’interno di una città e vivere con la stessa più che proporsi come una alternativa.
Diverso è invece il carattere di un altro luogo che visiteremo, quello del monumento della foiba di Basovizza. Un luogo che come il Centro di Raccolta Profughi di Padriciano ricorda un passato recente e drammatico. Un luogo che è diventato un memoriale che ha dei riferimenti precisi e specifici con la storia della nazione e non solo con quella del villaggio slavo. Una storia che è coltivata ancora una volta dalla città più che dagli insediamenti dell’altipiano, ma che si esprime, appunto, come necessità di dare forma alla memoria. Forma che recentemente ha assunto un carattere monumentale centrato su un recinto, come ce ne sono molti in Carso.
Poco sotto, troveremo i luoghi trasformati di recente dalla grande viabilità triestina, una frattura nel paesaggio del versante che dialoga con altre due strutture espulse dalla città e quasi alternative alla stessa: il grande complesso ospedaliero del Cattinara e il quadrilatero di edilizia Popolare del Rozzol Melara. Entrambi i complessi edilizi hanno la capacità di interrompere il continuo dilatarsi dell’urbanizzazione della periferia lungo le pendici costruendo due episodi che per la loro scala diventano dei Landmark, ma anche i limiti all’espansione futura.
Ricalcando le scelte localizzative della grande sede universitaria progettata nella seconda metà degli anni ’30 del ‘900 da Nordio, Celli e Semerani hanno collocato ai bordi della periferia urbana due oggetti che riescono a confrontarsi con forza con il panorama urbano e il golfo triestino. Si tratta di due oggetti che hanno avuto l’ambizione di proporsi come elementi ordinatori delle frange urbane diffuse, porte della città o persino mura della stessa, oppure espressione dei principi di anticittà. Residenza e servizi ancora una volta vengono espulsi dall’ambito urbano per godere del paesaggio e delle prospettive ampie costruendo una alternativa alla città densa.
Il Rozzol Melara, soprattutto, con le settecento residenze unite a servizi e ad attività commerciali ci racconterà i miti e le utopie degli anni ’70 quando si credeva possibile ricostruire dei grandi falansteri alternativi alla città malata nel più speciale ideale dell’ottocentesche idee di Owen, Fourier o Godin. Proprio all’interno di questo grande ideale urbano, quasi nel ventre di una grande balena, concluderemo la nostra lenta escursione.

I luoghi
Per cominciare visiteremo i luoghi dell’Area di Ricerca e del Parco Scientifico di Padriciano cercando di cogliere l’effetto della costruzione del “parco scientifico” all’interno di un’area naturale che dovrebbe diventare “parco naturale”. La scelta di attribuire a livello regionale speciali funzioni nel settore della ricerca al capoluogo regionale teneva conto delle difficili condizioni che Trieste godeva dal punto di vista geografico e politico fino agli anni ’80 del secolo scorso. L’area di ricerca nasce quindi come emanazione dell’università triestina che però ammiccava ai modelli insediativi aperti americani. Fin dall’inizio la scelta localizzativa privilegiò la scelta di costruire questa struttura lontano dalla città.
Dopo il terremoto del ’76 queste scelte si consolidano e nel marzo del 1978 viene creata l’AREA di ricerca come un consorzio obbligatorio tra Regione, Provincia e Comune di Trieste che ebbe il compito di costruire l’insediamento. Nella zona di Padriciano doveva sorgere una grande zona industriale transfrontaliera (ZFIC) e per cominciare si iniziò a recuperare il sito del dismesso capo di raccolta dei profughi giuliani. La disponibilità di un’area a costo zero influenzò in modo determinante la nascita in questo luogo della cittadella della ricerca.
La contraddittoria evoluzione del progetto ebbe la sua definitiva svolta quando fu proposta qui la sede di un sincrotrone europeo da 5 GeV. Questa nuova macchina, progettata dalla Fondazione Europea delle Scienze di Strasburgo, ebbe la fortuna di dare un senso a una iniziativa e a una localizzazione che sembrava non lo avessero. Solo nel 1986 si pervenne alla costruzione del dispositivo legislativo e di finanziamenti per dare vita ai due siti dell’area di ricerca. ’insediamento dell’AREA nel settore dell’ex Campo profughi stranieri di Padriciano, proprietà del Ministero degli Interni, va datata al 1981 e si rese possibile grazie al recupero di una decina di palazzine esistenti.
Da qui inizierà la nostra escursione percorrendo i bordi del complesso scientifico nel tentativo di coglierne gli esiti formali rispetto all’ambiente del Carso.
Da qui, lungo una stradina bianca percorreremo lo spazio che divide il centro scientifico dalla scarpata del Carso raggiungendo il rilievo occupato dal castelliere protostorico del Monte Calvo che ci permetterà di cogliere la distanza tra queste diverse forme di insediamento umano. L’antico abitato, segnalato dal Marchesetti nella seconda metà dell’800, è riconoscibile solo per i resti del muro di cinta. Segni al giorno d’oggi ancora più effimeri se si pensa che la vegetazione spontanea tende a mitigare la percezione delle opere artificiali sul rilievo a quota 485m, a Nord del M. Calvo.

Dal castelliere raggiungeremo il punto panoramico della Vedetta Alice, costruita nel 1957 dall’Ente per il Turismo di Trieste quando il Carso era meno boscoso, che ci permetterà di cogliere un’ampia prospettiva sull’altopiano e sul golfo. Questo belvedere ci darà modo di percepire la dimensione e la specialità del nostro itinerario sul bordo della scarpata triestina.
Da qui percorreremo il bordo dell’altipiano, transitando per il Parco Globojner e usufruendo degli ampi scorci e delle lunghe prospettive su Golfo e Istria arrivando fino al campo da golf, la più vecchia attrezzatura sportiva di questo tipo in Friuli VG, attrezzata dalle truppe inglesi e americane dopo la guerra. L’area di pertinenza è un ulteriore recinto che riduce la permeabilità degli attraversamenti pedonali. In modo diverso il limitrofo attraversamento del gasdotto è un segno di modernità che confligge con quelli degli antichi pascoli invasi ora dalla vegetazione spontanea, ma percepibili come un elemento archeologico.
Percorrendo alcune antiche armentarie delimitate da muretti raggiungeremo il secondo sito dell’Area di ricerca, quello che ospita il grande acceleratore di particelle. Infatti quando a metà degli anni ’80 ci si trovò a dover costruire la grande macchina, si scoprì che l’area dell’ex campo profughi era la meno adatta per un impianto di questo tipo. Infatti, la macchina di luce aveva bisogno di un’area pianeggiante, di terreni geologicamente stabili, lontani dai flussi e dalle vibrazioni prodotte dal traffico. Quindi l’originario settore, posto al limite dell’autostrada, fu scartato e tra 33 siti possibili del Carso Triestino e Goriziano ne fu scelto uno a Basovizza che aveva il vantaggio di essere relativamente vicino a quello di Padriciano. Sta di fatto che le due aree non sono collegate tra loro e sembrano del tutto autonome. I due siti si collocano sul territorio come se fossero due astronavi assolutamente indipendenti dal contesto e persino le sistemazioni dell’arredo urbano e dei nuovi percorsi, soprattutto a Bassovizza, sembrano voler esaltare un principio di diversità anziché percorrere un tentativo a posteriori di integrazione. L’ampia strada che a Basovizza conduce al Sincrotrone Elettra è stata costruita con un uso massiccio di porfido trentino, come se ci si trovasse in uno dei grandi e piccoli centri storici del triveneto.
Coglieremo il contrasto tra l’ambiente storico e le nuove strutture scientifiche percorrendo una vecchia strada fino al centro di Basovizza dove abbiamo previsto la sosta per il pranzo al sacco. Da qui raggiungeremo il memoriale della Foiba per poi riprendere uno dei percorsi del bordo dell’altipiano passando a monte del grande cratere della cava dell’Italcementi, altro grande recinto che testimonia usi predatori rispetto alla sola risorsa che il Carso ha in grande quantità, il carbonato di calcio.
Per scendere verso la periferia di Trieste, che ormai ha conglobato in se molte delle borgate agricole che provvedevano al sostentamento dell’urbe, useremo uno dei percorsi storici di accesso all’altipiano, la “strada delle vacche”. Si tratta in realtà di una ripida viabilità attrezzata con gradini che ci condurrà sopra al nodo della grande viabilità triestina che ha recentemente collegato con l’autostrada la zona di Padriciano e il valico di Rabuiese, direzione Capodistria. Scendendo avremo modo di apprezzare le imponenti masse delle due torri dell’ospedale e il quadrilatero del Rozzol Melara.
L’imponente complesso edilizio prende il nome da due località storiche del suburbio triestino e si è configurato sul finire degli anni ’60 come un’occasione per dare una nuova importanza alla soluzione delle periferie. Innanzitutto costruendo un corpo di fabbrica dalle dimensioni monumentali che non fosse solo un dormitorio ma che replicasse nelle funzioni che componevano qualsiasi parte della città storica. Nei 267.000 metri cubi di costruzione in stile brutalista erano previsti spazi per i servizi pubblici, per i negozi, per la socialità, per la redidenza, ecc. per un totale di 2.500 abitanti circa. Insomma, la dimensione di un villaggio piuttosto grosso della pianura friulana, e di molti comuni dell’altipiano. Il Melara fu uno straordinario esperimento di costruzione di una utopia dell’abitare che prendeva origine da alcune idee di Le Corbusier e che qui sono rese esplicite nella differenziazione dei sistemi di mobilità, nel rapporto tra l’edificio e il suolo, nella distribuzione dei servizi e degli spazi pubblici. La grande strada interna doveva essere, più che il suolo, il luogo della frequentazione e degli incontri, uno spazio di centralità e di servizi che in progetti simili non fu mai nemmeno realizzato.
Qui invece tra il ’79 e l’81 l’impianto fu completato e a distanza di anni mostra tutti i limiti dell’originaria utopia. La grande strada coperta per gli incontri è deserta e i negozi di quartiere non sono mai stati aperti. Un corridoio sovradimensionato vede ogni tanto i condomini muoversi il più velocemente possibile tra i luoghi pubblici per raggiungere i vani ascensore e il proprio alloggio. Gli spazi di incontro sono diventati oggetto di atti di vandalismo e la gran parte delle pareti dei luoghi di distribuzione e stata dipinta dai graffitari. Nonostante si tratti di uno dei migliori progetti di quartiere che assume al suo interno il desiderio di essere città o almeno di essere una parte della stessa, il disagio sociale del vivere nel quadrilatero è percepibile. Se gli alloggi sono pregevoli soprattutto per la vista e il rapporto con l’ambiente, gli spazi pubblici degradati e le difficoltà di socializzazione hanno convinto il comune a proporre uno speciale progetto nell’edificio quartiere, il portierato sociale.
Contemporaneamente sono partite alcune iniziative per il recupero degli spazi esterni con opere di arredo e verde per rendere meno ostile quel quadrato di cemento ostentato come un linguaggio incomprensibile agli abitanti (progetto Ri-giardino). In modo non diverso stanno crescendo le iniziative di aiuto a una popolazione residente che è invecchiata socializzando ben poco. In modo quasi indipendente invece, gli spazi progettati per il commercio lungo la grande strada pedonale sono poco alla volta recuperati per ospitare attività di servizio o associazioni che operano alla scala più vasta del quartiere o persino a quella della città. Questa rottura dei miti di autosufficienza espressi dal progetto degli anni ’70 non può che fare bene al Melara che da utopica macchina antiurbana e allo stesso tempo città autonoma, sta diventando parte di Trieste.
Durante l’escursione ci muoveremo dentro e fuori al grande edificio per comprenderlo meglio e capire quanto si sia salvato, dopo trent’anni, di quella idea che partiva dalle esperienze di Fourier e dalle grandi opere pensate da Le Corbusier (il Piano per Algeri del 1930, in particolare, ma anche l’unitè d'habitation di Marsiglia del 1945).
Dal Melara riaccompagneremo gli autisti a prendere l’auto al punto di partenza. Ma l’escursione non finisce qui. Chi vorrà potrà seguirci in serata nuovamente a Padriciano dove abbiamo programmato di visitare il Museo di Carattere Nazionale C.R.P. di Padriciano (Centro Raccolta Profughi di Padriciano). Si tratta della mostra permanente inaugurata nel 2004 dall'Unione degli Istriani, sul tema dell’esodo giuliano dopo la seconda guerra mondiale.
Il complesso edilizio fu attrezzato dalle forze armate angloamericane di stanza nel Territorio Libero di Trieste per accogliere gli esuli che venivano allontanati dalla Jugoslavia a partire dagli anni ‘50. Il centro fu dismesso negli anni ’70 quando furono demolite le baracche in legno che avevano ospitato i profughi e oggi è solo in parte musealizzato.
Dopo quest’ultima visita ci recheremo presso un vicino agriturismo per uno spuntino che ci permetterà anche di iniziare la discussione, libera e aperta non solo al gruppo di lavoro di Scarpe & Cervello, sulla prossima edizione della nostra campagna.

Per partecipare
La passeggiata si svilupperà su ambienti carsici e sentieri, quindi vi consigliamo scarpe da montagna o scarpe da ginnastica pesanti.
Per raggiungere il punto di partenza presso l’Area di Rierca di Padriciano basta percorrere l’autostrada fino all’uscita Padriciano e poi seguire le indicazioni per l’area di ricerca. Raggiunta una rotonda nei pressi dei primi edifici, poco a sinistra, troverete l’ampio parcheggio dove ci raduneremo.
L’escursione prevede una camminata lenta di circa sei ore priva di difficoltà. Chi viene con i figli è pregato di prestare a loro le dovute attenzioni. Non ci sono difficoltà perché l’itinerario è in discesa e ci porterà dai 360 metri dell’Area di Ricerca ai 240 m. slm del Melara.
Vi raccomandiamo un abbigliamento conforme alla stagione variabile perché l’aver posticipato la tappa di due settimane per poter godere dei colori dell’autunno ci espone a possibili rovesci.
Per i problemi finanziari dell’associazione le escursioni di Scarpe & Cervello non saranno più gratuite, ma sottoposte a una quota di rimborso spese per compensare i costi organizzativi. I non iscritti pagheranno 5 euro mentre gli iscritti 3. Per i bambini rimane tutto gratuito.

Numero massimo di adesioni: cinquanta con obbligo di prenotazione.


Per informazioni e prenotazioni:
Moreno Baccichet: 043476381, oppure 3408645094, bccmrn@unife.it
Legambiente del Friuli Venezia Giulia: 0432 295483, info@legambientefvg.it,
Informazioni aggiornate saranno inserite nel sito dell’associazione: http://www.legambientefvg.it/ e su http://www.scarpecervello.blogspot.it/

1 commento:

  1. Ciao io sono così felice che ho trovato il vostro blog. Grazie per questo grande informazione che si desidera condividere con noi!

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