sabato 9 marzo 2013

Campagna Scarpe & Cervello 2013

La fortezza FVG: dai paesaggi della guerra fredda alle aree militari dismesse





La Fortezza si erge all'orizzonte isolata, in terra di frontiera. Una frontiera morta, ormai, priva di pericoli e di minacce. Davanti, a nord, c'è il deserto, "pietre e terra secca, lo chiamano il deserto dei Tartari", perché un tempo, molto lontano, pare fossero i Tartari a minacciare il confine.La Fortezza è un edificio inospitale, le sue mura sono tetre, il paesaggio intorno brullo, desolato, riarso.
                                                                                                 Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari
Oggi la dissoluzione della grande infrastruttura militare, costruita come una poderosa trincea nei confronti del comunismo dilagante oltreconfine, pone molti interrogativi sul significato e sui tempi di un riuso di ampie porzioni del territorio per qualche decina di anni separate e funzionalizzate per gli scopi militari.
Con quali tempi il territorio riassorbirà l’infrastruttura militare oggi in gran parte abbandonata? Il Friuli Venezia Giulia è stata la regione italiana militarizzata per eccellenza, ma oggi lo svuotamento e gli abbandoni avvengono con la più inconsapevole disattenzione dell’opinione pubblica.
I siti abbandonati sono centinaia e almeno duecento sono già stati venduti o trasferiti ad altri enti.
Con quali risultati si sono operati i primi riusi? Quali problemi ci sono nel ridefinire le funzioni delle aree militari abbandonate? Quali proposte ci sono per recuperare i brani più importanti e testimoniali della non dimenticata guerra fredda? La regione delle caserme si sta trasformando in quella delle macerie e dei boschetti che avvolgono quelle che un tempo erano le caserme nelle quali intere generazioni di italiani hanno sprecato parte della loro vita attendendo “tartari” che non sono mai arrivati.
Il disegno delle dismissioni resta privo di significato così come è difficile ricostruire il quadro dei presidi militari e delle ragioni difensive espresse da una non chiara geografia e categorizzazione dei siti. Caserme, poligoni, osservatori, polveriere, magazzini, si confondono nella diffusione insediativa del secondo dopoguerra.
Per capirci qualcosa di più Walter Coletto ha individuato su Google circa duecento luoghi dismessi citati nei due decreti predisposti dal ministero della difesa. In realtà i luoghi abbandonati sono molti di più e il nostro amico ha predisposto un semplice meccanismo per completare la geolocalizzazione delle aree militari dismesse presenti in regione (Vedere il post che segue).
Con questo strumento chiunque potrà inserire e rendere evidenti aree o poligoni non più utilizzati e suscettibili di trasformazioni future. L’intento è quello di rendere evidente come questo processo di abbandoni sia esteso, complesso e privo di una regia.
Se la scelta di costruire i siti militari sottendeva a una politica magari non esplicitamente espressa, in modo del tutto opposto, il fenomeno di restituzione dei luoghi abbandonati non è oggetto di alcuna regia e si muove su un piano del tutto improvvisato per non dire anarchico. Non bastasse la crisi economica rende ancora più difficile pensare a logiche di riutilizzo di ampie strutture che molto spesso sono localizzate in aree periferiche. È interessante indagare questo importante processo di smilitarizzazione regionale. Contemporaneamente cercare di chiarire alcune delle logiche del disegno di segno opposto, quindi progettuale, impostato dopo la seconda guerra mondiale. Chi ha militarizzato la regione lo ha fatto seguendo una logica priva di connessioni con la geografia e le spazialità del Friuli Venezia Giulia? Oppure gli spazi e anche il paesaggio sono stati in qualche modo interpretati da militari ben consci dell’importanza strategica della conoscenza dei luoghi?
Le aree militari si pongono all’interno di territori in cui le trasformazioni paesaggistiche degli ultimi cinquanta anni hanno radicalmente mutato il rapporto tra recinti militari e spazi esterni. La lettura del problema delle aree dismesse sarà quindi letto contestualmente a quello delle trasformazioni del paesaggio.

                                                                                                            Moreno Baccichet

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